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dell’anello d’oro senza l’oro stesso ». Aristotele sostiene quindi che il conoscere è
avvertimento d’una variazione psichica che accade in noi, cioè di un mutamento
prodotto dalle qualità sensibili delle cose sui nostri organi di senso: « Il sentire è un
patire ». Merito d’Aristotele è stato quello di aver considerato la percezione e gli
altri processi psichici come strettamente legati alle condizioni fisiologiche
dell’organismo e di aver considerato la psicologia come una scienza naturale. Di
conseguenza la funzione appetitiva e quella motrice che, insieme con la funzione
sensitiva, caratterizzano la vita psichica animale, vengono considerate, nell’etica, nel
loro rapporto con l’intelligenza. Tuttavia, anche se le funzioni sensitiva e
immaginativa costituiscono le condizioni materiali e gli antecedenti necessari della
funzione intellettiva, il processo di astrazione, mediante il quale dall’immagine
sensibile (phántasma) viene isolata la forma intelligibile o essenza pura o concetto
universale, che è l’oggetto della conoscenza scientifica, non può essere compiuto né
da una funzione di un organo corporeo né da un intelletto che sia pura potenza e
recettività. Di qui la necessità di postulare, al di sopra dell’intelletto che riceve le
forme intelligibili, un altro intelletto, che è sempre in atto ed è produttivo di tali
forme: l’« intelletto agente » (nûs poiētikós).
In Aristotele, con la teoria dell’essere è connessa anche la logica, la quale, pur
configurandosi come disciplina in modo autonomo, rientra nel sistema unitario della
sua filosofia. Tuttavia tale constatazione non ci deve far concludere che il pensiero
di Aristotele sia un dogmatico sostanzialismo; al contrario tutta la sua metafìsica non
è altro che una continua incessante ricerca sulla natura e sul significato dell’essere e
della sostanza, di cui comprende tutta la complessa problematica, affrontandola col
suo caratteristico procedimento analitico e dubitativo, prospettando tutte le soluzioni
possibili, sviluppando e discutendo ognuna di esse e facendo così rampollare un
problema dall’altro. Proprio per questi motivi la dialettica per Aristotele non si
identifica, come per Platone, con il metodo stesso del filosofare e del sapere; essa
invece « esercita un potere critico rispetto alle cose di cui la filosofia dà conoscenza
». La dialettica verte quindi intorno alle opinioni che gli uomini hanno delle cose; in
essa è dunque implicito il dialogo, pur quando non ne è l’espressione. Proprio
perché occorre tener conto della dimensione umana del dialogare, della discussione
intesa in certo qual modo come fatto sociale, nasce la necessità di una disciplina del
dibattito, di precisare in modo rigoroso i termini che si usano nelle discussioni, di
stabilire regole formali di validità dei discorsi, ecc. Di qui il configurarsi della
logica come disciplina formale, che in Aristotele raggiunge un alto grado di
perfezione e di rigore.
Anche la logica quindi, come ogni altra disciplina trattata da Aristotele, finisce per
avere uno svolgimento autonomo, pur inserendosi in un orizzonte teoretico unitario. È
questo uno dei tratti più salienti del sistema aristotelico: ogni campo di ricerca viene
sì considerato in connessione con l’insieme del sapere, ma viene anche visto nella
sua particolarità, nei suoi elementi e sviluppi, nelle sue strutture. Per quanto riguarda
la partizione del sapere, Aristotele distingue le scienze poetiche (poetica e retorica),
dalle scienze pratiche (etica, politica) e dalle scienze teoretiche (matematica, fisica,