Page 138 - Il giornalino di Gian Burrasca
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ella abitualmente si limitò sempre a trattarmi col soprannome di  gelatina  alludendo al tremore
            continuo che mi dava la paralisi. -
               Ora io mi ricordavo benissimo che questo fatto al povero signor Venanzio l'avevo detto proprio
            io, ragione per cui se a Cesira ora capitava questa bella eredità doveva ringraziar me. Ma il signor
            Venanzio aggiungeva altre ragioni:
               - Inoltre, - diceva press'a poco nel suo testamento - a favorire in modo speciale questa buona
            ragazza son mosso dalle giuste e sane teorie politiche e sociali di mio nipote, il quale ha sempre
            predicato che nel mondo non vi devono essere più né servi né padroni; ed egli, io credo, accoglierà
            benissimo questo mezzo ch'io porgo a Cesira Degli Innocenti di non esser più serva in casa di lui e a
            lui di non esser più suo padrone. -
               L'avvocato   Maralli   nel   sentir   leggere   questo   paragrafo   sbuffava   e   ripeteva   a   bassa   voce,
            rivolgendosi al sindaco:
               - Eh!... Uhm!... Già mio zio, è stato sempre un originale!... -
               Il sindaco sorrideva con una certa aria canzonatoria e stava zitto. Intanto il notaro seguitava a
            leggere ed era arrivato a un altro paragrafo che diceva così:
               - Sempre per rispetto alle nobili teorie di altruismo sulle quali sono fondate le teorie politico-
            sociali di mio nipote, poiché mi parrebbe di recare ad esso una profonda offesa lasciando del mio
            capitale erede lui che fu sempre avversario accanito del capitale e dei suoi privilegi, primo dei quali
            è quello della eredità, lascio tutto il mio patrimonio già descritto ai poveri di questa città, dei quali il
            giorno della mia morte risulterà negli atti del Comune la fede di miserabilità; mentre al mio
            amatissimo nipote, in ricordo del suo affetto verso di me e degli auguri e voti fatti continuamente a
            mio riguardo, lascio per mio ricordo personale, che egli certo terrà carissimo, l'ultimo mio dente
            strappatomi dal suo piccolo cognato Giovannino Stoppani e che ho fatto espressamente rilegare in
            oro per uso di spillo da cravatta. -

               E il notaro levò infatti da un astuccio un enorme spillone in cima al quale era proprio il dente con
            le barbe che avevo pescato io nella bocca sgangherata del povero signor Venanzio.
























               A quella vista, naturalmente, non seppi resistere e mi scappò da ridere.
               Non l'avessi mai fatto! l'avvocato Maralli che pareva invecchiato di dieci anni e tremava tutto per
            la rabbia e per lo sforzo che faceva per contenersi, scattò e tendendo una mano verso di me esclamò:
               - Canaglia! Ridi anche, eh? al frutto delle tue canagliate! -
               E c'era in queste parole tale accento di odio che tutti si son voltati a guardarlo e il notaro gli ha
            detto:
               - Sì calmi, signor avvocato!
               E ha fatto per porgergli l'astuccio col dente del povero signor Venanzio, ma il Maralli l'ha
            respinto con un gesto energico, esclamando:
               - Lo dia a quel ragazzo... Fu lui che lo levò al defunto e io glielo regalo! -
               E s'è messo a ridere. Ma si capiva che era un riso sforzato per rimediare alla scena fatta prima.
               Infatti, dopo aver messo la firma sotto ai fogli che gli porgeva il notaro, ha salutato e se n'è
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