Page 133 - Il giornalino di Gian Burrasca
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E appoggiata lievemente la mia giacchetta sul letto lo aiutai a levarsi la sua
                                 e poi a rimettergli la mia, facendo in modo naturalmente che non vedesse la
                                 parola che v'era scritta sulla schiena.
                                    Quando l'ebbe indossata gliela abbottonai e gli dissi toccandolo con la
                                 mano sulla spalla:
                                    - Caro Masi, la ti va come un guanto! -
                                    Egli si dètte un'occhiata alla bottoniera, e si adattò facilmente a questa mia
                                 stravaganza. Si alzò, mi porse la mano... ma io feci finta di non accorgermene,
                                 perché mi ripugnava di stringer la destra di un traditore, e mi disse:
                                    - Dunque, addio Stoppani! -
                                    Io lo ripresi per il braccio e accompagnandolo alla porta risposi:
                                    - Addio Masi: e grazie sai? -
                                    E lo vidi allontanarsi per il corridoio recando dietro la schiena la parola
                                 infamante che s'era meritata.:
               Poco dopo venne il bidello che mi disse:
               - Stia pronto, suo padre è arrivato ed è in Direzione a parlare col signor Stanislao. -
               Mi venne un'idea
               - Se andassi anche io in Direzione, a raccontare a mio padre in faccia al signor Stanislao, tutti i
            fatti ai quali egli si sarebbe certo guardato bene accennare, da quello della minestra di rigovernatura
            a quello della seduta spiritistica? -
               Ma l'esperienza, purtroppo, mi avvertiva che i piccini di fronte ai più grandi, hanno sempre torto,
            specialmente quando hanno ragione.
               A che pro difendersi? Il Direttore avrebbe detto che quelle che io narravo eran fandonie,
            malignità e calunnie di ragazzi, e mio padre avrebbe creduto certo più a lui che a me. Meglio stare
            zitti e rassegnarsi al proprio destino.
               Infatti quando mio padre venne a prendermi non disse nulla.
               Avrei ben voluto saltargli al collo e abbracciarlo dopo tanto tempo che non lo rivedevo, ma egli
            mi dètte un'occhiataccia severa che mi agghiacciò e non mi disse altra parola che questa:
               - Via! -
               E partimmo.
               In diligenza si mantenne sempre il medesimo silenzio. Esso non fu rotto da mio padre che
            nell'entrare in casa.
               - Eccoti di ritorno, - disse - ma è un cattivo ritorno. E ormai per te non c'è che la Casa dì
            correzione. Te lo avverto fin d'ora. -
               Queste parole mi spaventarono; ma la paura mi passò subito perché di lì a poco ero nelle braccia
            della mamma e di Ada, piangente e felice.
               Non dimenticherò mai quel momento: e se i babbi sapessero quanto bene fa all'anima dei figlioli
            il trattarli così affettuosamente piangerebbero anche loro con essi quando c'è l'occasione di farlo,
            invece di darsi sempre l’aria di tiranni, ché tanto non giova a niente.
               Il giorno dopo, cioè il giorno 15, seppi dell'arrivo di Gigino Balestra, anche lui mandato via dal
            collegio per l'affare della grande congiura del 12 febbraio, data memorabile nella storia dei collegi
            d'Italia e forse d'Europa. E anche questa è una novità che mi ha fatto piacere perché spero di
            trovarmi spesso insieme col mio buon amico... e magari di mangiar qualche volta insieme qualche
            pasticcino nel suo bel negozio... però quando non vede il suo babbo che è socialista, ma che in
            quanto a pasticcini li vorrebbe tutti per sé.
               E ieri poi ne ho saputa un'altra.
               Il signor Venanzio, quel vecchio paralitico al quale pescai a canna l'ultimo dente che gli era
            rimasto, pare che stia di molto male, poveretto, e il mio cognato è in grande aspettativa per la
            eredità.
               Questo almeno ho raccapezzato dai discorsi che sento fare; e anzi ho anche saputo che il Maralli,
            appena ebbe la notizia del mio ritorno dal collegio, disse all'Ada:
               - Per carità, badate che non mi venga in casa, perché se no mi fa perdere quel che ho acquistato
            in questo tempo nell'animo dì mio zio e va a finire che mi disereda davvero! -
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