Page 132 - Il giornalino di Gian Burrasca
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un lieve risolino maligno.
               Quel risolino,  in quel momento,  fu per me come una rivelazione. Mi
            ricordai d'una volta in cui avevo avuto che dire col Masi il quale infine aveva
            ceduto alle mie minacce di picchiarlo; sapevo che egli era uno dei collegiali
            più ben visti dalla signora Geltrude...
               E tutto questo condusse, nella mia mente, a formular subito un'accusa:
               - È stato lui che ha fatto la spia! -
               Non ci stetti a ragionar sopra; lo presi per un braccio e lo spinsi così in
            camerata mormorando:
               - Senti, Masi... t'ho da dire una cosa. -
               Sentivo che egli tremava; e intanto andavo architettando nella mia mente
            l'interrogatorio da rivolgergli e una vendetta nel caso ch'io lo avessi scoperto
            veramente colpevole.
               Nel tragitto che feci trascinandolo dalla porta della camerata al mio letto
            feci tutto un piano strategico per l'assalto, e uniformandomi a quello rallentai
            la mano colla quale lo stringevo e lo invitai a sedere accanto a me col più bel
            sorriso del mondo.
               Egli era pallido come un morto.
               - Non aver paura, Masi, - gli dissi con accento mellifluo - perché anzi ti ho
            portato qui per ringraziarti. -
               Egli mi guardò sospettoso.
               - Lo so che sei stato tu che hai detto al signor Stanislao che io l'altra notte ero uscito di
            camerata...
               - Non è vero! - protestò lui.
               - Non lo negare; me l'ha detto lui, capisci? E appunto per questo io ti voglio ringraziare, perché
            mi hai fatto proprio un piacere...
               - Ma io...
               - Non capisci che io non ci volevo più stare qui dentro? Non capisci che ne facevo di tutte
            apposta per farmi mandar via? Che non mi par vero d'essere arrivato a questo momento in cui sto
            aspettando mio padre che sarà qui fra poco a prendermi? Dunque perché dovrei avercela con te che
            m'hai fatto raggiungere il mio scopo? -
               Egli mi guardò non ancora rassicurato.
               - Ora giacché mi hai fatto questo piacere, me ne devi fare un altro. Senti... vorrei andare un
            momento di là a salutare un mio amico e a dargli la mia giacchetta da collegiale che ho promesso di
            lasciargli per ricordo: puoi aspettarmi qui, e dire al bidello, nel caso che venisse a cercarmi, che
            ritorno subito? -
               Il Masi ora non dubitava più e manifestò una grande contentezza di essersela cavata così a buon
            mercato.
               - Ma figurati! - mi disse - fa' pure, sto qui io!... -
               Io corsi via. La scuola di disegno, ch'era lì vicina era aperta e non c'era nessuno. Vi entrai stesi la
            mia giacchetta da collegiale su un banco e preso un pezzo di gesso scrissi nella schiena della giacca,
            a grandi lettere, la parola: Spia.
               Fatto questo, in un lampo, ritornai in camerata, dove entrai con passo misurato, tenendo la mia
            giubba per il bavero, ripiegata in due in modo che il Masi non vedesse la parola che vi avevo scritta.
               - Non ho potuto trovare l'amico - dissi. - Pazienza! Ma poiché non ho potuto lasciar la mia
            giacchetta a lui, per ricordo, voglio lasciarla a te, mentre io mi prenderò la tua in memoria del gran
            servizio che mi hai reso. Vogliamo fare a baratto? Vediamo se ti sta bene! -
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