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Rugantino
l romanissimo Rugantino è, come i Capitani, Fanfaro-
ne e Contaballe, ma, al contrario di quelli, rischia dav-
I I vero e paga di persona. Rappresenta il “bullo romano”,
disposto a prenderne fino a restare tramortito pur di avere
l’ultima parola. “Meglio perde n’amico che na buona rispo-
sta’ è una delle sue frasi preferite.
Quando finisce a botte, Rugantino non si scompone, ma
testardo come sempre: “Me ne ha date, ma quante gliene ho
dette!” esclama!
Quando appariva sulla scena, Rugantino era vestito da
sbirro; indossava pantaloni, gilet e giacca rossi, calzava
scarpe con grandi fibbie e portava un cappello a due
punte. Il suo nome deriva senza dubbio da “rugare” cioè
brontolare, borbottare, come una pentola d’acqua che
ribolle o da ruganza, ossia arroganza, ed è, comunque,
legato al carattere del tipo. Che ha del presuntuoso oltre
che dell’aggressivo, come è proprio di certi bulli di antica e
recente tradizione.
Maschera del Teatro romanesco è usata indifferentemente
sulle scene teatrali e negli spettacoli di marionette o
burattini. Nelle contraddizioni di fondo fra il carattere e le
risulatanze di esso, diviene quasi il simbolo di una Roma
popolaresca e pacioccona.
Potrebbe discendere dai Capitani dell’arte o addirittura
dal Pirgopolinice plautino, ma è meglio identificato quale
caricatura dei gendarmi del Bargello, i quali erano oggetto
di burla da parte dei popolani. E, infatti, prima di indossare i
definitivi abiti civili, aveva quelli del gendarme.
I più famosi Rugantini ottocenteschi furono Filippo
Tacconi e Nino Tamburri, che diedero alla Maschera
l’impronta dell’arguzia sottile e pungente dei romani.
Altro Rugantino dal notevole successo fu quello pizzaiolo
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