Page 64 - Storia della Russia
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Questo primo «Dmitrij» diede il via a una lunga serie di pretendenti, quasi tutti di umili
        origini, che nella Russia del XVII e XVIII secolo sostennero di essere il vero zar scampato
        alla morte e tornato per salvare il popolo da un usurpatore. La frontiera meridionale era un
        miscuglio  di  malcontento,  insicurezza  e  interessi  di  parte,  dove  «Dmitrij»  riuscì  a
        raccogliere molti consensi. La sua ribellione portò a una vera e propria guerra civile, che
        coinvolse tutti i gradi della società e in cui ebbero un ruolo di primo piano i cosacchi. La
        storia di Boris Godunov e del «falso Dmitrij» (o «Dmitrij il pretendente») è uno dei grandi
        miti  nazionali  russi,  reso  immortale  dalla  tragedia  di  Aleksandr  Puškin  e  dall’opera  di
        Modest Musorgskij. Il Boris della realtà storica, come sostennero i suoi avversari, e in
        seguito Puškin, probabilmente era davvero colpevole di omicidio, mentre il pretendente al

        trono, secondo le accuse del governo, non era altro che un monaco rinnegato, un certo
        Grigorij Otrepev. Questa versione, ampiamente accreditata, resta in ogni caso senza prove,
        ma dalle poche fonti che abbiamo si può desumere che «Dmitrij», la cui vera identità è
        ancora  incerta,  avesse  grandi  capacità  e  fosse  realmente  convinto  dei  suoi  diritti  di
        rivendicazione.

           All’inizio l’esercito del governo riuscì a reprimere le rivolte nel sud, ma Godunov morì
        all’improvviso  nel  1605,  lasciando  campo  libero  a  «Dmitrij»,  che  entrò  a  Mosca  e  fu
        incoronato zar; il figlio di Godunov, suo possibile successore, venne assassinato. Tuttavia,
        il nuovo sovrano rimase in carica soltanto un anno: le sue tendenze filopolacche, la moglie
        cattolica e polacca, e l’entourage polacco offendevano la sensibilità moscovita. Il «falso
        Dmitrij» fu ucciso in una congiura architettata dall’ambizioso e opportunista Šujskij e le
        sue ceneri vennero sparate da un cannone del Cremlino in direzione della Polonia. Šujskij,
        candidato della fazione aristocratica di Mosca, gli succedette e strinse un patto con i propri
        sostenitori, giurando di governare con equità e di non depredare l’élite come aveva fatto
        Ivan  IV.  Ma  anche  questo  «zar  boiaro»  non  fu  capace  di  imporsi:  l’ascesa  al  trono  di

        Šujskij irritò i suoi rivali all’interno della nobiltà e scontentò le classi inferiori. Così si
        riaccese  la  guerra  civile  (1606-1607),  guidata  inizialmente  da  Ivan  Bolotnikov,  un  ex
        schiavo  dell’esercito;  sul  fronte  opposto  si  fece  avanti  un  secondo  e  più  rozzo  «falso
        Dmitrij»  (il  «brigante  di  Tušino»,  1608-1610).  La  guerra  e  i  disordini  sociali  furono
        aggravati  dall’intervento  polacco  e  poi  svedese.  A  partire  dal  1610,  dopo  la  caduta  di
        Šujskij, le truppe polacche occuparono la capitale: la Moscovia rischiava seriamente di
        collassare,  finire  soggiogata  o  smembrata.  Tuttavia,  grazie  a  un  appello  del  patriarca
        Ermogene, che morì di lì a poco imprigionato dai polacchi, e dopo un tentativo fallito di
        riprendere il controllo di Mosca, si riuscì a formare un’armata a Jaroslav, nel nordest del
        paese, la zona meno colpita dai «torbidi» e ancora capace di affrontare i costi di una nuova
        campagna militare. L’esercito, capitanato dal principe Dmitrij Požarskij, fu organizzato da
        Kuz’ma Minin, un personaggio autorevole della città, di professione macellaio. La fede
        ortodossa, minacciata dal cattolicesimo polacco, diede impulso all’unità nazionale e nel
        1612 gli invasori furono cacciati. Nel 1613 uno zemskij sobor, dal punto di vista sociale il
        più rappresentativo mai tenutosi, poiché presenziato eccezionalmente anche da cosacchi e
        contadini liberi, si riunì per eleggere un nuovo zar. Dopo aver rifiutato i candidati polacchi

        e svedesi, la scelta dei delegati cadde su Michail Romanov, pronipote di Ivan IV e figlio
        diciassettenne di Fëdor Romanov, il Filaret rivale di Godunov. Michail, russo di nascita e
        con (lontane) radici rjurikidi, era giovane, ingenuo e malleabile; il sostegno di suo padre al
        secondo  «falso  Dmitrij»  contro  Šujskij  gli  valse  l’appoggio  dei  cosacchi.  L’elezione
        ristabilì  una  casata  regnante  riconosciuta  da  tutta  la  Russia  e  confermò  il  principio  di
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