Page 266 - Storia della Russia
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Il cambiamento culturale e l’identità nazionale
Oltre a problemi di transizione politico-economica, il crollo dell’Unione Sovietica
provocò rapidi mutamenti socio-culturali e una crisi di valori che investì l’identità stessa
della popolazione e l’immagine che da tempo aveva di sé. Molti aspetti dell’ideologia
precedente furono completamente rovesciati. Sebbene, nel 1991, la linea ufficiale fosse
per molti ormai priva di significato, adattarsi a vivere con principi radicalmente diversi si
rivelò doloroso, soprattutto in un periodo di sconvolgimento economico. Con la glasnost’
e l’apertura degli archivi di stato furono portati alla luce vari crimini politici, ma senza che
le vittime fossero risarcite o i colpevoli ne rispondessero: da questo punto di vista il
governo e la società non hanno ancora affrontato per intero quella pesante eredità
sovietica. La capacità imprenditoriale e l’accumulo di ricchezze, prima stigmatizzati,
divennero obiettivi positivi, proprio mentre la maggioranza della popolazione cadeva
ancor più nella miseria. I limiti e le deficienze imposti dalla pianificazione statale, i
controlli e gli equilibri burocratici furono sostituiti dalle incertezze e dalle esigenze
finanziarie di un mercato privo di regole. L’ordine e la stabilità della vita quotidiana
garantite dallo stato di polizia sovietico lasciarono il posto alla precaria disponibilità dei
beni, all’inflazione, all’erosione del risparmio, a illegalità e violenza criminale. La crisi
dell’industria portò al declino dei servizi sociali (assistenza sanitaria e all’infanzia,
istruzione), per cui i fondi scarseggiavano. Le donne furono le più colpite: le prime a
risentire del crollo dei salari e della diminuzione del lavoro, dovettero anche affrontare
molti problemi in ambito familiare. Gli anni Novanta, infatti, videro aumentare i casi di
alcolismo e di violenza domestica (a volte mortali), nonché il numero dei divorzi e delle
famiglie con un unico genitore (la madre).
L’élite intellettuale (l’intellighenzia dell’epoca sovietica), promotrice e custode dei
valori sociali e culturali, aveva goduto finora del sovvenzionamento statale attraverso
organizzazioni come l’Unione degli scrittori e l’Accademia delle scienze, di cui Gorbačëv,
in particolare, aveva cercato di accattivarsi i favori. Dopo il 1991, queste organizzazioni
continuarono a esistere, ma i loro fondi furono drasticamente ridimensionati. Il dovere di
«dire la verità al potere», o di raccontare bugie in cambio di privilegi, ha lasciato il posto a
problemi di pura sopravvivenza quotidiana. Le vecchie regole artistiche si ritrovarono a
confronto con le richieste dei consumatori, le esigenze di pubblicità e notizie
scandalistiche dei nuovi media commerciali e il successo di vendite di generi inediti come
il romanzo erotico dello scrittore ultranazionalista Eduard Limonov. Allo stesso tempo, la
nuova libertà concesse opportunità senza precedenti, che molti seppero sfruttare. La fine
della censura e il rientro degli esuli (Solženicyn tornò in patria nel 1994) riunirono
l’emigrazione russa e gli intellettuali rimasti. Ne è emersa una nuova cultura, varia, attiva
e umana, con figure di spicco come lo scrittore Viktor Pelevin. I mezzi di comunicazione,
però, soprattutto la televisione, così influente dal punto di vista politico, sono finiti ancora
sotto controllo, questa volta da parte dei ricchi «oligarchi» e recentemente del governo,
mentre la FSB (succeduta al KGB) accusava di tradimento coloro che, come Aleksandr
Nikitin e Grigorij Pasko, telecronisti di tematiche ambientali, o il giornalista Andrej
Babickij, senza infrangere alcuna legge, rendevano noti errori e misfatti
dell’amministrazione.
La religione e la Chiesa ortodossa hanno goduto di un ritorno di popolarità,