Page 262 - Storia della Russia
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Identità, democrazia e mercato

        La nascita di un’economia di mercato

        La fine dell’Unione e lo scioglimento del Congresso permisero a El’cin di portare avanti
        in  tutta  libertà  una  radicale  riforma  economica.  Il  presidente  decise  di  rimandare  le
        elezioni  e  di  emanare  in  seguito  una  nuova  Costituzione,  necessaria  dopo  i  vari
        cambiamenti. Secondo il nuovo primo ministro, il trentacinquenne Egor Gajdar, seguace

        di Hayek e della Thatcher, per portare la Russia direttamente a un’economia di mercato
        serviva una «terapia d’urto». Come primo passo verso il cambiamento, nel gennaio del
        1992 fu introdotta la liberalizzazione dei prezzi (a eccezione degli alloggi e delle utenze
        domestiche),  che  aumentarono  vertiginosamente;  il  contraccolpo  per  la  popolazione  fu
        immediato.  Nei  successivi  anni  di  transizione  il  problema  della  riforma  economica  si
        trasformò  in  un  campo  di  battaglia.  El’cin  governò  in  stile  sovietico,  fondando  il  suo
        potere su piccole consorterie. Di fronte agli effetti di un cambiamento così rapido e spesso
        sconsiderato, i riformatori da lui scelti per governare vennero sempre più osteggiati.

           Nel giugno del 1992 il governo procedette alla privatizzazione delle industrie di stato,
        concedendo a tutti i cittadini le risorse necessarie per comprarne le azioni: un buono di
        10.000 rubli a testa poteva essere investito nelle imprese appena privatizzate. Dirigenti e
        operai  potevano  ottenere  la  maggioranza  azionaria  a  condizioni  favorevoli.  Per  molti
        dirigenti fu l’occasione per acquisire il controllo di imprese che prima amministravano,
        rilevando le quote dei lavoratori. In tempi di inflazione alta, 10.000 rubli rappresentavano,
        infatti, una piccola cifra e molti buoni furono comprati da speculatori: in diversi casi, le

        vecchie  élite  amministrative  divennero  i  nuovi  proprietari,  e  abili  operatori  finanziari
        accumularono enormi fortune. Eppure, molti industriali temevano che, ritirando i sussidi
        statali, si sarebbe giunti al collasso: un problema critico anche da un punto di vista sociale,
        poiché tradizionalmente le imprese sovietiche fornivano servizi materiali e assistenza alla
        propria forza lavoro. La privatizzazione, quindi, fu ratificata dal Soviet supremo con la
        clausola che lo stato avrebbe continuato a sostenere le industrie principali. Per lo stesso
        motivo, la Banca centrale continuò a mantenere ampi e inflazionistici conti creditori per le
        industrie. In questo modo molte aziende in passivo sopravvissero e conservarono i loro
        operai,  che  potevano  a  malapena  retribuire.  Così,  nonostante  la  feroce  inflazione,  la
        disoccupazione restò bassa. Anche le fattorie collettive continuarono a ricevere i sussidi
        statali,  e  la  maggior  parte  rifiutò  la  privatizzazione  e  lo  smembramento,  preferendo
        costituirsi  in  cooperative  agricole.  Fu  una  decisione  razionale,  presa  nelle  difficili
        circostanze dell’epoca, quando il credito privato non era ancora disponibile, i contratti non

        tutelabili  in  giudizio,  i  prezzi  e  i  meccanismi  di  pagamento  del  tutto  inaffidabili  e  la
        promessa  legge  sulla  privatizzazione  della  terra  oggetto  di  feroci  controversie;  ma
        rifletteva anche la tradizionale diffidenza verso il rischio e la mancanza di iniziativa delle
        fattorie collettive. I problemi in agricoltura continuavano a non trovare soluzione.

           Nel  dicembre  del  1992  El’cin  ritenne  necessario  sostituire  l’impopolare  e  poco
        carismatico Gajdar con il meno radicale Viktor Černomyrdin, ex presidente del colosso
        statale  dell’energia  Gazprom,  che  pose  alcune  restrizioni  ai  profitti  e  all’aumento  dei
        prezzi.  Il  trambusto  delle  riforme  aveva  sconvolto  le  relazioni  economiche  vigenti  e
        destabilizzato il pagamento dei salari e delle retribuzioni, gettando parecchie persone nella
        miseria più nera. Nel 1992-1994 avere un secondo lavoro, barattare e chiedere l’elemosina
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