Page 258 - Storia della Russia
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Il colpo di stato di agosto e la fine dell’Urss
Preparata la nuova stesura del trattato dell’Unione, Gorbačëv si prese una vacanza in
Crimea. Le sue speranze di risolvere il problema dell’Unione furono però infrante da un
colpo di stato messo in atto il 19 agosto dagli ultraconservatori nel tentativo disperato di
impedire lo smantellamento dell’Urss. I responsabili, membri del «Comitato statale di
emergenza», erano uomini da lui stesso nominati, quei conservatori da poco accolti nel
governo: il vicepresidente, il primo ministro, il ministro della Difesa, il capo del KGB.
Quando Gorbačëv si rifiutò di collaborare, lo misero agli arresti domiciliari nella sua dacia
(casa di campagna) in Crimea, annunciarono a Mosca che era malato e inabile a governare
e proclamarono lo stato di emergenza. Irrisoluti e privi di un vasto consenso, non avevano
un vero piano né un’adeguata preparazione. E soprattutto non riuscirono ad arrestare
El’cin e i suoi colleghi, il vicepresidente russo Ruckoj e il portavoce del Parlamento
Ruslan Chasbulatov, che si barricarono nella «Casa Bianca», la sede del Congresso dei
deputati del popolo a Mosca. Circondata dai carri armati dei golpisti, questa fu difesa da
migliaia di cittadini moscoviti disarmati. Da sopra un carro armato, El’cin (che aveva con
sé un cameraman) rivolse un drammatico appello alla folla e al mondo. Le dimostrazioni
di massa contro il putsch nella ex Leningrado – ora nuovamente San Pietroburgo – furono
guidate dal sindaco riformista Anatolij Sobčak.
Il colpo di stato durò tre giorni; Gorbačëv ritornò e i golpisti furono arrestati. Non
direttamente coinvolto nel golpe, il partito comunista ne uscì comunque macchiato, e il 23
agosto El’cin umiliò il segretario generale Gorbačëv sospendendo ufficialmente il PCUS sul
territorio russo. Gorbačëv inizialmente protestò, poi si dimise dalla segreteria. Il
Congresso dei deputati dell’Urss, associato al PCUS, si sciolse per sempre a settembre; a
novembre El’cin dichiarò il partito illegale in Russia. Nella seconda metà del 1991 furono
create nuove istituzioni di transizione dell’Unione; queste, insieme al loro presidente
Gorbačëv, vennero sempre più marginalizzate dagli organismi della nascente Repubblica
Russa, che assunsero gradualmente i poteri del regime dell’intera Unione. La situazione
economica continuava a peggiorare, spingendo le singole repubbliche a seguire ognuna la
propria strada. El’cin non seppe sfruttare la sua enorme autorità morale per attuare riforme
decisive, temendo di provocare il collasso sociale completo e di ripetere l’ottobre del
1917. Gli effetti del putsch di agosto andarono comunque in direzione totalmente opposta
rispetto alle intenzioni dei golpisti: il definitivo discredito del PCUS e il crollo dell’Unione
Sovietica. Il potere era ormai in mano alle repubbliche, ora molto sospettose nei confronti
del centro e della potente Repubblica Russa di El’cin. Inoltre, la retorica nazionalista e
secessionista dei loro capi ottenne il consenso delle masse, mentre l’indipendenza
prometteva alle élite della nomenklatura un prestigio e un’autorità cui altrimenti non
avrebbero mai potuto aspirare. Lituania e Georgia avevano già dichiarato formalmente la
loro indipendenza; con il fallito colpo di stato simili dichiarazioni si susseguirono a
cascata e a novembre ormai solo la Russia e il Kazachstan erano ancora nell’Unione
Sovietica. Anche se Mosca celebrò l’insuccesso del golpe come un trionfo della
democrazia, i tentativi di Gorbačëv e di El’cin di riaprire i negoziati per una nuova Unione
riformata fallirono del tutto. Mosca riconobbe ufficialmente solo l’indipendenza delle
repubbliche baltiche. Ma l’Ucraina, membro fondamentale, rifiutò di accettare una
qualsiasi Unione dotata di organi centrali con potere decisionale vincolante; alla fine, nel
dicembre del 1991, i leader delle repubbliche slave, Bielorussia, Russia e Ucraina, tre dei