Page 256 - Storia della Russia
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Il problema dell’Unione

        La  soppressione  del  monopolio  politico  del  PCUS  minacciava  l’Unione  nelle  sue
        fondamenta. Se il PCUS doveva ora essere solo un partito tra gli altri, senza il carisma di un
        diritto  divino  o  la  sanzione  della  violenza,  allora  solo  la  convinzione,  la  persuasione  o
        l’interesse materiale potevano tenere unita l’Urss; e Gorbačëv non aveva dato il giusto
        peso  alle  latenti  forze  conflittuali  centrifughe,  represse  all’interno  delle  repubbliche
        dell’Unione. Un controllo meno pressante e gli eventi esteuropei del 1989 – il Muro di

        Berlino cadde a novembre – spinsero a rivendicare l’autonomia, se non l’indipendenza, i
        movimenti  nazionalistici  in  Georgia,  Moldavia  e  Ucraina;  tra  armeni  e  azeri,  e  in
        Uzbekistan,  scoppiarono  scontri  etnici.  Nelle  repubbliche  baltiche,  Estonia,  Lettonia  e
        Lituania,  dove  dopo  la  Seconda  guerra  mondiale,  e  poco  prima  della  creazione
        dell’«impero  esterno»,  era  stato  ristabilito  il  potere  sovietico,  nel  1988  erano  emersi
        «fronti popolari» indipendentisti; tutte e tre le repubbliche proclamarono la loro sovranità
        all’interno dell’Unione. Ciò portò i capi di altre repubbliche, e la stessa leadership della
        RSFSR,  a  riconsiderare  la  propria  posizione  all’interno  dell’Unione.  Unica  nell’Urss,  la
        Russia non aveva istituzioni di partito proprie: il partito comunista russo si era trasformato
        in PCUS nel 1925. I russi avevano sempre dominato il partito e le istituzioni sovietiche – il
        58% dei membri del  PCUS erano russi –, ma non possedevano una struttura di governo
        separata  per  i  propri  affari  e  gran  parte  della  ricchezza  prodotta  nella  RSFSR  veniva
        amministrata dagli organi dell’Unione. Emerse ora un movimento che voleva la creazione
        di istituzioni separate per la RSFSR. Nel 1990 nacque un Congresso dei deputati del popolo
        russo; El’cin, per pochi voti di differenza, ne fu eletto primo presidente. Seguirono altri
        organismi:  il  Partito  comunista  della  RSFSR,  che  divenne  la  roccaforte  dei  più  fieri

        oppositori conservatori di Gorbačëv, l’Accademia russa delle scienze, il KGB della RSFSR e
        i  sindacati.  Nel  giugno  del  1990,  per  la  disperazione  di  Gorbačëv,  il  Congresso  russo
        proclamò la RSFSR stato sovrano, affermando il primato della legislazione russa su quella
        dell’Unione e il proprio diritto di controllo delle istituzioni della repubblica. L’esempio
        russo venne presto seguito dalla maggior parte delle repubbliche, dando avvio de facto alla
        devoluzione  del  potere  a  livello  repubblicano.  Gli  stati  baltici  erano  già  andati  oltre,
        promulgando  provvisorie  dichiarazioni  di  indipendenza;  le  leadership  delle  altre
        repubbliche,  ormai  quasi  del  tutto  libere  dalla  disciplina  del  partito,  adottarono
        atteggiamenti nazionalistici per ingraziarsi l’elettorato, guardando con crescente sospetto
        alla nuova repubblica russa e alle sue pretese.

           Gorbačëv  si  ritrovò  tra  l’incudine  dell’opposizione  conservatrice  e  il  martello  del
        liberismo radicale e del separatismo delle repubbliche. Nel 1990 l’amministrazione russa e
        quella dell’Unione si scontrarono per il controllo dei beni economici sul territorio della
        RSFSR.  Gorbačëv  si  convinse  definitivamente  della  necessità  di  una  rapida  transizione
        all’economia  di  mercato,  e  i  suoi  consiglieri  cercarono  di  ricucire  gli  strappi  con  la
        leadership  della  repubblica  russa  e  con  gli  economisti  radicali,  proponendo  progetti  di

        ampio respiro per il cambiamento economico, il cosiddetto «Piano dei 500 giorni». Ma
        Gorbačëv, pressato da potenti gruppi di interessi, continuò a temporeggiare in favore di
        una soluzione meno drastica; l’alleanza con i radicali si ruppe e la situazione economica
        non migliorò. Alla fine del 1990, il presidente tornò indietro, cercando di accordarsi con
        una  «destra»  minacciosa,  designando  alcuni  conservatori  ai  posti  chiave  del  governo,
        dell’esercito e dei servizi di sicurezza. In reazione a queste nomine, a dicembre il ministro
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