Page 252 - Storia della Russia
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Le questioni politiche
Fin dal principio di quel fenomeno che fu chiamato Perestrojka, «Ristrutturazione»,
Gorbačëv usò nei suoi discorsi il termine glasnost’, «trasparenza», espressione coniata
negli anni Cinquanta dell’Ottocento sotto Alessandro II, nel periodo che precedette le
«grandi riforme». Egli si rifaceva alle prime tradizioni sovietiche di pubblica denuncia
degli abusi e (come all’epoca di Alessandro II) la «trasparenza» avrebbe dovuto
funzionare entro limiti ben precisi, ma Gorbačëv scoprì presto che l’apparato statale e
quello del partito erano restii a inchieste e cambiamenti; l’opposizione più ostinata gli
venne dalle basi di potere personale e dalle reti clientelari della nomenklatura che
affondavano radici molto profonde nella cultura politica russa. Di fronte a questi ostacoli
di sistema, Gorbačëv cercò un altro tipo di sostegno fondato sulla legalità e sul consenso.
La sua strategia fu di mobilitare la base contro l’establishment del partito e di coinvolgere
l’opinione pubblica nella sua lotta per la trasparenza: il vaso di Pandora era stato aperto.
Nell’aprile del 1986 l’esplosione alla centrale nucleare di Černobyl’ in Ucraina – il più
grave incidente nucleare della storia con conseguenze locali e intercontinentali devastanti
– fu un catastrofico esempio dei mali del sistema, una «rivelazione improvvisa», come
Kronštat per Lenin. Il disastro fu causato dall’evidente, irresponsabile e colpevole
negligenza nelle procedure di sicurezza, e la prima reazione delle autorità fu di tenerlo
segreto: lo resero pubblico i rilevatori di radiazioni scandinavi. Come Gorbačëv ricorda
nella sua autobiografia, Černobyl’ «mise in luce molte malattie del sistema nel suo
complesso. Tutto ciò che avevamo accumulato negli anni culminava in questa tragedia: la
negazione e l’insabbiamento degli incidenti e delle cattive notizie, l’irresponsabilità, la
trascuratezza, la sciatteria, l’alcolismo di massa». La glasnost’ si spinse oltre, con nuove
nomine nelle testate giornalistiche più importanti, la pubblicazione di opere prima proibite
e il rilascio di dissidenti imprigionati. Nel dicembre del 1986 Gorbačëv in persona fece
richiamare a Mosca Andrej Sacharov, eminente fisico nucleare in esilio.
Nei tre anni successivi Gorbačëv lavorò con grande tenacia e abilità per cambiare il
clima e la struttura politica, ma dal 1989 iniziò a inseguire eventi ormai fuori controllo. Da
principio cercò, senza grande successo, di democratizzare il sistema dall’interno,
introducendo elezioni con diversi candidati per le cariche pubbliche e del partito; poi
riavviò la riabilitazione delle vittime della repressione politica, un processo interrottosi
sotto Brežnev. Nelle discussioni e nelle manovre che riguardavano queste nuove politiche,
El’cin emerse come voce radicale: si scagliò contro le influenze conservatrici (Ligacëv) e
la lentezza della Perestrojka, perdendo il suo incarico a Mosca e la sua posizione nel
Politbjuro (ma non il suo posto nel Comitato centrale; nel 1990 avrebbe fatto un passo
ancora più estremo, lasciando il partito comunista). Di fronte alle resistenze a
democratizzare il partito dall’interno, la mossa successiva di Gorbačëv fu di allargare la
politica al di là del partito: a metà del 1988, davanti alle telecamere della televisione, fu
approvato un nuovo Parlamento, il Congresso dei deputati del popolo dell’Unione
Sovietica, che a dicembre venne ratificato dal Soviet supremo. Un terzo dei 2250 delegati
venivano eletti su base territoriale nazionale, un altro terzo da collegi elettorali che
riflettevano la densità della popolazione, mentre i rimanenti 750 dovevano provenire da
«organizzazioni pubbliche» come il Komsomol e l’Accademia delle scienze, con 100 posti
riservati al PCUS. Il Congresso si sarebbe riunito due volte l’anno, con i poteri di governo
detenuti da un più piccolo Soviet supremo elettivo.