Page 253 - Storia della Russia
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Le elezioni del Congresso nel marzo del 1989, molto più libere ma in parte sempre
controllate, causarono qualche clamorosa sorpresa tra le file dei candidati comunisti, ma
portarono nelParlamento solo una minoranza di deputati riformisti: circa 400
«democratici» tra cui Sacharov e El’cin, che divenne uno dei capi dei radicali. Gorbačëv
occupò uno dei posti riservati al PCUS, per poi essere eletto nel Soviet supremo e
presidente di quest’ultimo, diventando così «portavoce» del Congresso. Il primo
Congresso (25 maggio - 9 giugno 1989) prese decisioni cruciali: promulgò leggi
importanti che andavano nella direzione di istituire realmente uno «stato fondato sulla
legge», e i suoi accesi dibattiti non vennero censurati e ricevettero, per la prima volta, una
copertura televisiva nazionale. Il nuovo Parlamento, tuttavia, non si integrò nella struttura
amministrativa dello stato. Nonostante la riorganizzazione interna del partito, questo
continuava a dominare gli incarichi e l’amministrazione.
A questi sviluppi corrispose il crescente attivismo dei cittadini e dell’opinione pubblica;
un controllo meno pressante stimolò la comparsa di «gruppi informali» di ogni tipo, la
rinascita della società civile. Fu un periodo in cui ogni punto di vista, anche il più estremo,
trovò espressione: già nel marzo del 1987, ad esempio, una nuova organizzazione
nazionalista antisemita, Pamjat’ (Memoria), organizzò dimostrazioni a Mosca. Le
difficoltà economiche causarono scioperi; nel 1989 i minatori in lotta portarono la loro
protesta nella capitale e gli eventi di quell’anno nell’Europa dell’Est inasprirono il
malcontento diffuso: in massicce manifestazioni si chiedevano la democrazia e il
miglioramento delle condizioni materiali, e ci si scagliava contro i privilegi della
nomenklatura. Molti leader locali furono rimossi dai loro incarichi. In molte città all’inizio
del 1990 si formò un «blocco» (sorta di protopartito politico) per la «Russia democratica»,
che propugnava un ampliamento contenuto della partecipazione elettorale. Gorbačëv,
intanto, con altre mosse cruciali, continuava a contrastare l’inerzia del partito: una
proposta di legge del Comitato centrale del PCUS, ratificata nel marzo del 1990 dal III
Congresso dei deputati del popolo, modificò la Costituzione, eliminando definitivamente
il monopolio politico del partito. A breve seguirono complete libertà di elezione e di
parola; i collegi elettorali cominciarono ad avere voce in capitolo nelle decisioni a livello
locale e regionale. Contemporaneamente il Congresso ratificò anche la proposta di creare
una presidenza esecutiva dell’Unione: oltre al controllo del governo (Consiglio dei
ministri), il nuovo presidente dell’Urss sarebbe stato a capo di un Consiglio presidenziale
(che sostituiva a tutti gli effetti il Politbjuro, ormai depotenziato, ma abolito
definitivamente, in quanto inefficace, nel novembre del 1990) e di un Consiglio della
federazione, composto dai leader delle varie repubbliche. Allo stesso tempo fu allentato
l’antico divieto di formare correnti e «piattaforme» separate all’interno del partito. Senza
indire pubbliche elezioni, Gorbačëv divenne presidente dell’Unione con un ballottaggio
segreto del Congresso, mantenendo al contempo il ruolo di segretario generale del PCUS.
La presidenza del Soviet supremo (portavoce del Congresso) fu separata dalla nuova
carica di presidente. Gorbačëv aveva ora una base di potere all’interno e all’esterno del
partito, ma non aveva ancora l’investitura del voto popolare.
L’autorità del PCUS continuava a scemare. L’istituzione di una struttura presidenziale di
governo alternativa e la detronizzazione del partito dal suo «ruolo guida» segnarono una
svolta. Il sistema sovietico nel suo complesso si era fondato sulla capacità della leadership,
basata sul partito, di mantenere e giustificare il proprio dominio forzato sulla società,