Page 156 - Storia della Russia
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La fine della dinastia: febbraio 1917
Tuttavia, lo zar si rifiutò di coinvolgere il popolo in questioni che considerava di esclusiva
competenza dell’imperatore e dei suoi ministri, soprattutto se di carattere politico. Nicola
ritornò invece alla propria visione patriarcale del ruolo del sovrano, ottusamente incentrata
sulla sua persona: prorogò la Duma, licenziò i ministri che avevano appoggiato il Blocco
progressista e, nonostante le proteste del suo governo, assunse il comando diretto
dell’esercito. Questa decisione aveva una sua logica: il coordinamento tra il fronte e le
retrovie aveva costituito un annoso problema e Nicola sperava di riuscire a risolverlo
ispirando le truppe con la sua presenza autocratica. Ma dal punto di vista politico si rivelò
un fatale errore: in questo modo lo zar si rendeva personalmente responsabile di ogni
fallimento militare. Lasciando la capitale per il quartier generale, vicino a Mogilëv, nella
Russia Bianca (Bielorussia), egli abbandonò il controllo centrale della guerra e della vita
nelle retrovie; il potere politico della capitale rimase nelle mani della moglie, l’imperatrice
Alessandra, una donna di origine tedesca, dalle idee reazionarie, poco giudizio e amicizie
discutibili. Così il governo perse competenza e affidabilità a causa di una serie di ministri
incapaci che si succedevano rapidamente, mentre critici e oppositori scatenavano una
campagna sempre più ostile. Nelle retrovie il rifornimento di cibo e di altri beni essenziali
cominciò a scarseggiare: a causa dello stravolgimento dell’economia dovuto alla guerra i
contadini accumulavano grano per cui non c’era mercato, le ferrovie russe, per lo sforzo
continuo, smisero di funzionare, mentre le merci militari destinate al fronte bloccavano gli
approvvigionamenti che dal centro del paese sarebbero dovuti giungere alle periferie civili
e alla capitale. Nel 1916 gli operai ripresero a scioperare contro il peggioramento delle
condizioni: quell’anno si registrarono 1400 scioperi. Nella capitale la produzione
cominciò a crollare, iniziarono a scarseggiare cibo e combustibile, e l’inflazione superò
l’aumento dei salari. La colpa ricadde sulla «tedesca»: le origini germaniche
dell’imperatrice Alessandra divennero d’un tratto questione nazionale (esattamente come
per la casa reale inglese che nello stesso periodo cambiò il suo cognome da Sax-Coburgo-
Gotha in Windsor). Con il crescere della tensione, i cittadini di origine tedesca subirono
sempre maggiori persecuzioni; nel 1914 San Pietroburgo era già stata ribattezzata
Pietrogrado. Le cose andavano di male in peggio. Nel novembre del 1916, Miljukov parlò
alla Duma (di nuovo riunita) accusando il governo di incompetenza, tradimento o tutte e
due le cose.
La fine giunse improvvisa. Il 1917 si aprì con uno sciopero di cinquantamila uomini in
memoria della Domenica di sangue e, per mantenere l’ordine, il governo reagì creando
uno speciale distretto militare di Pietrogrado. L’agitazione operaia continuò il 22 febbraio
con la serrata della grande fabbrica metallurgica Putilov. Il 23 si svolsero manifestazioni
per la Giornata internazionale della donna e contro la penuria di cibo, e nei giorni seguenti
la protesta si intensificò, dando vita a numerosi scontri con la polizia e con un esercito
sempre meno compatto, chiamato da Nicola per imporre l’ordine. Nonostante gli appelli
del presidente della Duma perché si giungesse a un governo di ampie convergenze, lo zar
dichiarò sciolta l’Assemblea. Il 27 febbraio le truppe passarono dalla parte dei rivoltosi,
che si impadronirono dell’arsenale e del Palazzo d’Inverno. La Duma formò un governo
ad interim che rispecchiava la composizione del fallito Blocco progressista. Nel frattempo
riemersero i rappresentanti del Soviet dei deputati dei lavoratori, cui presto si unirono
anche i soldati. Il famoso «Ordine n.1» invitava tutti i militari a prendere il comando delle