Page 153 - Storia della Russia
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La riforma agraria di Stolypin
Quando nel 1905 la rivolta scoppiò in tutto il paese, i contadini inizialmente esitarono;
tuttavia, di lì a breve, al centro e nelle periferie non russe, si formò un vasto movimento
organizzato in comuni, con responsabilità collettive, cui tutti dovevano partecipare,
indirizzando i propri sforzi contro i terreni, le proprietà e a volte anche la vita dei
possidenti. Nella memoria dei contemporanei rimase l’immagine del cielo rosso per il
fuoco che si sollevava dalle residenze padronali in fiamme. Il noto assioma «il 1861
provocò il 1905» è stato universalmente considerato troppo semplicistico, ma resta pur
vero che l’esacerbarsi del malcontento per la mancanza di terra e di giustizia esplose con
inaudita violenza. Alla fine dell’ondata rivoluzionaria, come abbiamo visto, il governo
rispose con altrettanta brutalità: era ormai chiaro, tuttavia, che la comune, lungi dall’essere
il baluardo della stabilità e dell’ordine sociale, si era trasformata in un’arma della
rivoluzione.
La grande riforma agraria avviata da Stolypin nel 1906 cercò di affrontare e risolvere
questi problemi: rimediare alla mancanza di terra, abbattere il potere delle comuni e
liberare i contadini intraprendenti dai limiti che queste imponevano. La sua «scommessa
sui forti» offriva ulteriori terre e la proprietà privata di quelle in comune. In questo modo,
Stolypin sperava di creare una classe economicamente forte e politicamente conservatrice
di piccoli proprietari che, disponendo di terreni propri e di un potere decisionale
all’interno degli zemstva, risanasse la campagna e sostenesse al contempo il regime
autocratico. Il ministro e i suoi funzionari sottoposero alla riflessione della classe
contadina le proprie idee e priorità, vale a dire l’eterno problema del potere nello «stato
contadino». Le autorità locali furono comunque incoraggiate a essere più flessibili e
ragionevoli, a cercare la collaborazione dei contadini e a rifiutare le soluzioni ideologiche
per concentrarsi su quelle operative. Si lavorò sulla campagna, raccogliendo dati,
riorganizzando e riassegnando la proprietà privata dei terreni. L’enorme impresa, che per
avere successo avrebbe avuto bisogno di anni di calma, incontrò l’ostilità dei proprietari e
di molti contadini legati alle comuni; in quel breve periodo i cambiamenti proposti
risposero soltanto alle necessità e alle speranze di una piccola minoranza, formata
soprattutto dai contadini più abbienti e da coloro che non avevano avuto fortuna e
potevano ora vendere e lasciare le loro terre. I maggiori successi furono ottenuti nel fertile
sudovest, dove la proprietà individuale era più diffusa e familiare, mentre nella Russia
centrale la comune esercitava ancora grandi attrattive, persino per i piccoli possidenti.
Alcuni contadini, quindi, entrarono in possesso dei loro terreni senza staccarsi dal
villaggio, e le stesse comuni adottarono nuovi metodi: risalgono a questo periodo il
miglioramento delle tecniche di rotazione delle colture e la nascita delle cooperative
agricole, incoraggiata fortemente dagli agronomi. Ma, sebbene i suoi risultati si possano
leggere in diversi modi, la riforma di Stolypin non può essere considerata un grande
successo, soprattutto da un punto di vista politico: nel 1916, quando la riforma fu sospesa,
la maggior parte degli appezzamenti era ancora di proprietà delle comuni, e durante la
Rivoluzione del 1917-1918, quando vennero meno le restrizioni esterne, i contadini
imposero quasi ovunque l’agognata «ripartizione nera», costringendo i piccoli possidenti a
rientrare nella comune, occupando i fondi dei signori locali e uniformando le dimensioni
dei poderi.