Page 148 - Storia della Russia
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scuole rurali. Negli ultimi decenni prima della Rivoluzione «la Russia imparò a leggere»,
cosa particolarmente vera per la nuova generazione di giovani, molto più mobile;
l’analfabetismo, tuttavia, rimase un fenomeno diffuso fino agli anni Trenta del Novecento.
Questi cambiamenti misero in crisi, in modo lento ma inesorabile, i valori tradizionali e
l’obbedienza cieca dei villaggi. L’ampia famiglia allargata, favorita dalla precedente
organizzazione delle proprietà, cominciò a sfaldarsi; i figli andavano via di casa per
formare nuclei familiari indipendenti e più piccoli (più deboli e più numerosi). Questi
giovani capifamiglia, che avevano diritto all’assegnazione di un terreno di proprietà,
insieme agli operai, ai soldati e agli emigrati che tornavano al paese, cominciarono a
intervenire nelle assemblee delle comuni, spesso in competizione o in disaccordo con la
vecchia guardia. Con il passare del tempo i contadini potevano affittare o comprare altra
terra, sia in comunità sia individualmente, al di fuori delle proprietà della comune: nel
1914 i contadini possedevano ormai mediamente più terra di quanta fosse stata loro
assegnata dopo 1861. Anche le differenze di ricchezza si fecero più evidenti: mentre
alcuni ricchi contadini, i cosiddetti kulaki (il termine kulak, «pugno», fa riferimento alla
pratica dell’usura), sfruttavano e cercavano di dominare i loro compaesani, altri
prosperavano grazie alla loro intraprendenza e al loro acume e posero le basi per la nascita
di un ceto produttivo di piccoli proprietari terrieri.
Questi processi furono graduali. Nel 1900, per quanto ne sappiamo, la stragrande
maggioranza dei contadini era ancora legata ai valori tradizionali. Per molti di loro la vita
orbitava intorno al villaggio e il primo problema restava quello della disponibilità di terra.
Tuttavia, erano molto più consapevoli della vita che si svolgeva al di fuori del villaggio.
La fedeltà al «santo zar», al «piccolo padre», era ancora la norma, ma veniva spesso
contestata sulla base di nuove esperienze e idee sempre più diffuse. In tutto ciò
l’organizzazione comunitaria dei contadini rimase intatta e di importanza capitale. Il
governo continuò a considerare la comune come un baluardo di stabilità: durante le
«controriforme» degli anni Novanta il suo potere fu rafforzato. Gli stessi contadini
continuavano ad affidarsi alla comune per il proprio autogoverno, basato sulla legge
consuetudinaria, per l’organizzazione e la ridistribuzione delle terre e per il mutuo
soccorso: l’artel’ (cooperativa di lavoratori) e lo zemljačestvo (associazione di lavoratori
della stessa località) proiettarono le strutture solidaristiche della comune in un orizzonte
più ampio. La comune restò la base per la resistenza e la solidarietà tra i contadini di
fronte alle minacce esterne o in caso di azioni collettive: la solidarietà dimostrata dalla
comune di fronte ai disordini del 1861-1862 riapparve anche durante la Rivoluzione del
1905-1906.
Il 1861 ebbe un enorme impatto anche sui proprietari terrieri che persero la loro forza
lavoro gratuita e considerevoli, seppur variabili, quantità di terra. Il governo dedusse dai
pagamenti di compensazione tutti i debiti insoluti; i buoni di indennità, non potendo essere
incassati subito, cominciarono a perdere valore. Il vecchio stile di vita divenne impossibile
e nel 1905 i nobili possedevano il 40% della terra in meno rispetto a prima del 1861.
Tuttavia, questo periodo non fu caratterizzato tanto dal «declino della piccola aristocrazia
terriera», sbandierato all’epoca e in seguito, quanto piuttosto da una riorganizzazione delle
attività dei nobili: alcuni proprietari riuscirono a adattarsi alle nuove condizioni, sfruttando
la persistente dipendenza dei contadini, adottando nuovi metodi di coltura e
ridimensionando il loro stile di vita. Con lo sviluppo del mercato, i nobili divennero