Page 147 - Storia della Russia
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primo piano: ebbero il merito di incrementare la produzione agricola, ormai regolata sulle
esigenze del mercato, e col tempo si stima abbiano guadagnato di più di quanto predetto
da molti profeti di sventura. Il rendimento dei raccolti nella Russia di allora reggeva bene
il confronto con il resto d’Europa. A impedire la flessibilità e l’innovazione tecnologica in
campo agricolo non fu la struttura socioeconomica della comune contadina: un ostacolo
più consistente fu rappresentato dalle sfavorevoli condizioni economiche e materiali di
lungo termine in cui l’agricoltura era costretta a operare.
Tuttavia, questa immagine generalmente positiva della situazione economica non si
accompagna al consenso sociale o a una generale soddisfazione da parte dei contadini. Da
regione a regione, le cose cambiavano notevolmente. Molte famiglie contadine, soprattutto
nelle province agricole centrali, a sud e a sudest di Mosca, vivevano di stenti. Nel corso
del tempo i tributi e gli arretrati dei contadini raggiunsero cifre enormi; non è ancora
chiaro se la ragione sia da attribuirsi più a un rifiuto che all’impossibilità di pagare, ma
entrambe le ipotesi implicano il malcontento della classe contadina. In tutto il paese
c’erano contadini colmi di risentimento per quanto avevano perduto e proprietari con
terreni che avrebbero dovuto essere distribuiti alla popolazione contadina in aumento.
Negli anni Novanta le autorità istituirono finalmente un sistema ufficiale di riassetto
volontario, offrendo generosi lotti di terra in Siberia. Ma i nuovi insediamenti furono
occupati soltanto da una piccola percentuale della popolazione in crescita, di cui molti non
riuscirono a adattarsi e ritornarono ai luoghi di origine. Le inchieste ufficiali sui motivi del
malcontento svolte alla fine del secolo individuarono come prima causa la mancanza di
terra; la «ripartizione nera», vale a dire la completa ridistribuzione di tutti i terreni,
divenne la principale richiesta contadina nel periodo rivoluzionario.
Nei decenni che seguirono, la campagna subì notevoli cambiamenti. Mentre le leggi per
l’emancipazione avevano cercato di garantire ordine e stabilità, le riforme mutarono
profondamente il contesto della vita rurale. La crescita dei mercati, la richiesta di terra da
parte della popolazione e l’interesse comune a massimizzare i profitti spinsero i contadini
a cercare lavoro lontano dai villaggi: furono accolti dai nuovi cantieri ferroviari, dalle
grandi fattorie commerciali del sud, dagli imprenditori delle nuove fabbriche, dai
capimastri e dai procacciatori di lavoro nelle città. Dopo la Guerra di Crimea il governo
aveva stanziato ingenti fondi per promuovere la costruzione di una rete ferroviaria, e alla
fine degli anni Sessanta una prima fase di crescita prese avvio, seguita da una seconda
negli anni Novanta (in cui, però, non furono affrontati in modo adeguato i problemi
strategici emersi durante la guerra). Ora merci e contadini potevano viaggiare più
rapidamente e coprire distanze maggiori. Verso la fine del secolo un numero sempre più
consistente di donne si diresse verso le città e le fabbriche: impiegate soprattutto
nell’industria leggera, venivano pagate meno degli uomini ed erano più semplici da
gestire. I contadini portavano nei villaggi l’esperienza di altri ambienti e di altre società: il
nuovo esercito di leva, da cui i soldati tornavano dopo pochi anni invece di sparire per
sempre; la febbrile vita cittadina, con le sue nuove conoscenze e i giornali, nonché la
prostituzione, l’alcol, il gioco d’azzardo, il crimine, le malattie, cui erano esposti lontani
dalla famiglia e dalla routine del villaggio; le reti commerciali sui grandi fiumi; le
affollate, sudice e pericolose fabbriche e le baracche in cui abitavano gli operai. I
contadini ebbero per la prima volta accesso all’istruzione: il nuovo esercito disponeva di
un programma di alfabetizzazione e i nuovi comitati degli zemstva fondarono ottime