Page 150 - Storia della Russia
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La rivoluzione dal basso: 1905-1917

        Prove generali di rivoluzione: 1905

        Negli  anni  che  precedettero  il  1905,  di  fronte  alla  crescente  tensione  sociale  e
        all’opposizione  pubblica  e  rivoluzionaria,  il  governo  seguì  una  politica  in  cui  mescolò
        concessioni,  diversivi  e  repressione.  La  polizia  si  mobilitava  rapidamente  contro  la
        protesta  aperta  e  riuscì  a  infiltrarsi  all’interno  dei  gruppi  rivoluzionari.  Importanti

        commissioni governative, create per studiare i bisogni del mondo rurale, sottolinearono la
        necessità di un cambiamento, portando nel 1904 alla limitazione dei poteri delle comuni;
        nel  1902  furono  abolite  le  punizioni  corporali  contro  i  contadini.  Nel  1901  al  capo
        dell’Ochrana moscovita, Sergej Zubatov, fu affidato il compito di deviare lo scontento dei
        lavoratori  verso  innocue  valvole  di  sfogo,  creando  un  sindacato  sotto  il  controllo  della
        polizia,  che  esprimesse  rimostranze  di  carattere  esclusivamente  economico.  All’inizio
        Zubatov ottenne discreti risultati, ma siccome non riusciva a controllarne tutti i membri,
        nel 1903 il suo sindacato venne chiuso. Con la crescente tensione, il governo pensò che
        «la vittoria in una piccola guerra» contro i giapponesi avrebbe calmato l’opinione pubblica
        ostile. Il disastro militare, invece, rinvigorì la fiamma del dissenso interno.

           La  Rivoluzione  scoppiò  a  San  Pietroburgo  domenica  9  gennaio  1905.  Un’enorme
        processione/manifestazione di lavoratori, organizzata dal pope Georgij Gapon, per ironia
        della sorte proprio un successore di Zubatov, si radunò davanti al Palazzo d’Inverno per
        presentare una petizione allo zar. Gli operai, molti dei quali ex contadini, portavano icone
        e simboli religiosi cercando soddisfazione nei modi tradizionali. Nicola era assente e la

        polizia,  tesa  e  nervosa,  sparò  sulla  folla,  ferendo  o  uccidendo  centinaia  di  persone:  il
        «piccolo padre» non aveva dato ai suoi figli pane ma pallottole. L’indignazione pubblica
        per la «Domenica di sangue» fu immensa, e la risposta paternalistica dello zar, che non
        aveva alcuna intenzione di scusarsi per l’accaduto («i manifestanti erano stati mal guidati
        dai loro capi»), rese il tutto ancora più oltraggioso: il mito del «piccolo padre» e la fedeltà
        dei lavoratori erano persi per sempre.

           Il  resto  dell’anno  fu  un  continuo  braccio  di  ferro  tra  la  corona  e  il  popolo  senza
        distinzione  di  classe:  a  parte  una  piccola  ala  conservatrice,  nessuno  appoggiava  più  il
        governo. Scioperi e dimostrazioni scoppiarono in tutto l’impero: in campagna i contadini
        erano furiosi; in periferia le minoranze nazionali si unirono violentemente alle proteste
        divampate al centro. Nell’esercito e nella marina gli ammutinamenti furono contenuti, ma
        la corazzata Potëmkin, di stanza sul Mar Nero, scappò riuscendo ad approdare a Varna.
        Nacquero  nuove  organizzazioni  per  dare  voce  sia  a  opinioni  e  interessi  di  parte  sia  al
        malcontento generale. Intanto apparvero deputati dei «soviet (consigli) dei lavoratori», che
        funzionavano in larga parte come comuni contadine allargate, con rappresentanti eletti e
        revocabili. I primi soviet sorsero negli Urali e nella città tessile di Ivanovo come comitati

        di scioperanti, per poi diffondersi in tutto il paese; più tardi, quando gli organi di stato
        cominciarono  a  vacillare,  i  soviet  allargarono  la  loro  influenza,  riempiendo  il  vuoto
        amministrativo e di potere.

           L’ondata di dissenso raggiunse il culmine in ottobre con un enorme e compatto sciopero
        generale. Per dirigerlo, gli operai di San Pietroburgo organizzarono un soviet che venne
        presieduto dall’abile e capace Lev Trockij (pseudonimo di Lev Davidovič Bronštejn). I
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