Page 122 - Storia della Russia
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aveva rivelato la furia e l’imprevedibilità delle masse. Invece, l’ex generale e diplomatico
P. Kiselëv, nominato da Nicola a capo della speciale Direzione per la questione contadina,
portò avanti negli anni Quaranta una radicale riorganizzazione amministrativa dei
contadini di stato e fornì un modello per la futura emancipazione. La sua fu una riforma
ampia e rivolta nella giusta direzione, ma ancora troppo paternalistica, verticistica e
burocratica: in accordo con i tempi e con le tradizioni dello «stato contadino» nessun
contadino fu consultato.
La questione contadina divenne anche uno degli aspetti del più vasto problema
dell’efficienza economica. Nei cento anni tra il 1762 e l’emancipazione del 1861, tranne
rare eccezioni, i servi liberati non divennero agricoltori efficienti. Le grandi tenute erano,
da questo punto di vista, più funzionali di quelle piccole, ben più numerose, e nella prima
metà del XIX secolo nelle fertili terre del sud emersero alcune proprietà che ottennero un
certo successo commerciale producendo barbabietole da zucchero e lana merino. Con la
crescita dei mercati interni nel XIX secolo e la conseguente specializzazione economica,
nel centro e nel nord, poco fertili, la piccola attività su base artigianale si rivelò più
conveniente e rimunerativa dell’agricoltura, e l’obrok (canone enfiteutico) divenne la
forma più diffusa di pagamento per i contadini; ma a parte una o due importanti eccezioni,
come le proprietà degli Šeremetev a Ivanovo nella provincia di Vladimir e a Pavlovo
vicino a Nižnij Novgorod, che divennero città manifatturiere, dall’artigianato non
nacquero vere e proprie imprese industriali. L’attività su base artigianale rimase forte per
tutto il XIX secolo e non fu in competizione, ma fece da complemento alla produzione
industriale di maggiori dimensioni, via via che si andava sviluppando. In questo periodo il
fenomeno della migrazione della forza lavoro contadina continuò a crescere. Inoltre, i
proprietari terrieri medi possedevano pochi servi della gleba, un capitale ridotto e scarse
conoscenze di agronomia e commerciali. Tuttavia, mantenere il nuovo stile di vita
aristocratico inaugurato da Pietro il Grande e sostenuto dai suoi successori nel periodo
imperiale richiedeva introiti sempre crescenti, e i proprietari con maggiori capacità
imprenditoriali diversificarono la produzione: i nobili dominavano i nuovi settori
industriali fondati sulle risorse agricole locali; la distillazione dei liquori, in particolare, fu
monopolio nobiliare dal 1754 al 1863. La maggioranza dei possidenti, comunque,
accrentrava la pressione sui contadini o si indebitava: una banca agricola dei nobili,
fondata nel 1754, concedeva prestiti vantaggiosi, cui facevano da garanzia i servi della
gleba, non le terre (nel 1842 ormai metà di loro era sotto ipoteca della banca o di altre
istituzioni). Il debito si può considerare un modo creativo di finanziare la crescita
economica, e non è del tutto chiaro quale fosse all’epoca l’entità dell’indebitamento
relativo dei proprietari terrieri; ma è evidente, almeno, che molto denaro fu speso in modo
improduttivo.
Dal momento che la forza lavoro non costava nulla, molti nobili non ragionavano in
termini di perdite e profitti: i servi, in effetti, erano sempre disponibili e il loro
mantenimento era già compreso nel bilancio della proprietà, anche se risultavano sempre
meno produttivi dei lavoratori a contratto. L’emancipazione non fu causata, come si è
sostenuto, da una crisi economica: pur nella sua staticità e senza costituire una vera fonte
di guadagno, l’agricoltura rimase proficua per tutta la prima metà del XIX secolo. La
crescita estensiva dell’agricoltura a sud e a est permise di sfamare la popolazione in
aumento e consentì un certo profitto ai produttori di grano; la coltivazione intensiva,