Page 121 - Storia della Russia
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La questione contadina, 1774-1860

        Dopo la lezione degli anni Sessanta e la rivolta di Pugačëv, l’imperatrice cambiò strategia:
        il periodo della discussione pubblica sulla condizione contadina era finito e Caterina si
        concentrò sullo sviluppo della società e sull’economia. Se inizialmente aveva pensato di
        poter raggiungere i suoi scopi liberando il potenziale dei contadini asserviti, ora cominciò
        a  concedere  autonomia  agli  strati  «liberi»  della  società,  vale  a  dire  aristocrazia,  città  e
        contadini di stato, se necessario a spese dei servi della gleba. Una Carta ai contadini di

        stato  avrebbe  dovuto  seguire  quelle  alle  città  e  ai  nobili  del  1785,  ma  non  venne  mai
        promulgata.  Nel  1783  l’estensione  all’Ucraina  dello  Statuto  del  1775  e  della  tassa  di
        capitazione  armonizzò  le  strutture  legali  e  migliorò  l’amministrazione  fiscale  in
        quest’area,  e  di  conseguenza  i  contadini  ucraini  persero  definitivamente  la  libertà  di
        movimento. La servitù conservava il proprio valore ai fini dello stato; tuttavia, una volta
        sollevata,  la  «questione  contadina»  rimase  all’ordine  del  giorno.  Le  teorie  economiche
        cameraliste e fisiocratiche presupponevano la libertà della popolazione, e lo stesso dicasi
        per  la  dottrina  del  laissez-faire,  associata  alla  Ricchezza  delle  nazioni  (1776)  di  Adam
        Smith,  che  nell’impero  esercitò  una  notevole  influenza;  anche  le  implicazioni  morali
        furono  gravi.  La  tensione  e  le  fughe  dei  servi  erano  endemiche  e  il  loro  malcontento
        rappresentava una costante minaccia per l’ordine pubblico. Nel periodo della Rivoluzione
        francese molti proprietari immaginavano di avere un contadino sanculotto sotto ogni letto,
        sebbene non ci siano prove che i contadini russi fossero influenzati dagli eventi francesi.
        Nell’agricoltura  che  si  basava  sulla  servitù  la  produttività  era  generalmente  bassa,  ma
        sufficiente: nonostante il rapido aumento del tasso di crescita della popolazione in epoca
        imperiale,  negli  anni  di  tranquillità  erano  poche  le  persone  che  morivano  di  fame.  Ma

        questo sistema produttivo era anche molto rigido e usava tecniche rudimentali: i metodi
        agricoli erano spesso condizionati dalle pratiche contadine.

           Dal regno di Caterina II in avanti, i governi (a parte quello di Paolo) cercarono un modo
        per migliorare la situazione e abolire la servitù della gleba. I primi modesti passi furono
        compiuti sotto Alessandro I. La legge sui «liberi agricoltori» del 1803 istituì per la prima
        volta un percorso legale tramite il quale i servi potevano emanciparsi grazie alla terra in
        accordo con il loro padrone, e divenire piccoli proprietari terrieri; ma solo pochi signori vi
        fecero ricorso. Negli anni 1816-1819 i contadini lettoni ed estoni della nobiltà tedesca del
        Baltico  furono  resi  liberi  grazie  a  un’emancipazione  senza  terra.  Questa  soluzione  si
        dimostrò problematica sia dal punto di vista sociale sia economico, e l’esperienza baltica
        divenne un esempio negativo per i riformatori degli anni Sessanta. Nello stesso periodo
        Alessandro ordinò ad alcuni consiglieri di elaborare progetti d’emancipazione in Ucraina e
        in Russia, ma non li mise mai in pratica, e il carattere reazionario dell’ultima fase del suo
        regno rese impossibile qualsiasi cambiamento.

           Le  rivoluzioni  europee  dei  decenni  postnapoleonici  allarmarono  le  autorità  russe,
        sempre  più  sensibili  a  un  disordine  sociale  che  sembrava  in  continuo  aumento.  Sotto

        Nicola  I  la  Terza  sezione  teneva  resoconti  dettagliati  delle  agitazioni  contadine,  che
        occupavano un posto di rilievo nel rapporto annuale consegnato allo zar. Quello del 1839
        descriveva la Russia come una polveriera pronta a esplodere a causa del malcontento. In
        un celebre discorso al Consiglio di stato del 1842, Nicola definì la servitù «un male sotto
        gli occhi di tutti», ma aggiunse subito che era troppo pericoloso immischiarsene: Pugačëv
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