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                   DOSSIER                   Storie
                                             di Romolo


                    Le leggende sulle             a leggenda delle origini di Roma fu ripetuta infinite volte dagli storici antichi, in un grande nu-
                                              Lmero di varianti. La storia di Romolo e Remo è anzitutto una grande avventura, piena di colpi
                       origini di Roma
                                              di scena: l’abbandono dei neonati in una cesta affidata alla corrente del fiume, la lupa che li allatta,
                 affondano le proprie
                                              il pastore che li alleva, la vendetta, la fondazione della città destinata a dominare il mondo... Ma è an-
                    radici nella realtà       che una vicenda tragica, che culmina nella rivalità tra i gemelli e nel fratricidio.
                                storica?      Fin dall’antichità, il racconto più famoso è sempre stato quello di Tito Livio [®DOC1 e 2]. Questo
                                              storico, inoltre, presenta Romolo come un personaggio quasi divino, il quale, compiuta la sua ope-
                                              ra, sarebbe scomparso nel nulla per entrare in una dimensione celeste [®DOC3].
                                              I Romani insistevano sul carattere «aperto» della loro città, fin dalle origini: i primi Romani accoglie-
                                              vano gli stranieri senza preclusioni etniche né sociali. L’importante era che essi partecipassero con
                                              entusiasmo e con valore alla nascita della nuova città [®DOC4].





                                             Romolo e Remo
                                             Nella leggenda di Romolo e Remo ha un ruolo importante il mondo animale, che appare sotto le
                                             sembianze di una lupa, la quale salva i due neonati allattandoli come se fossero suoi cuccioli. Si trat-
                                             ta di un elemento antichissimo, che getta luce sulla cultura e sulla religiosità dei primi «Romani». La
                                             lupa, infatti, era un «totem». Con questa parola (che gli studiosi moderni hanno attinto al lessico di
                                             una tribù pellerossa) gli antropologi indicano un fenomeno complesso e in larga parte oscuro: il rap-
                                             porto tra un individuo o un gruppo e una specie animale (o vegetale, o un fenomeno naturale, ecc.).
                                             L’individuo o il gruppo ritengono di essere associati al totem, di avere con lui un rapporto speciale,
                                             che comporta l’osservanza di un certo numero di obblighi e, in cambio, la garanzia di una protezio-
                                             ne. Gli antichissimi progenitori dei Romani non erano l’unica comunità, in Italia, ad avere la lupa co-
                                             me totem: gli Irpini, che popolavano una parte del Sannio, prendevano addirittura il loro nome da
                                             quello del lupo, che nella loro lingua si diceva appunto hirpus.

                 DOC1
                  Livio, Storia di Roma, I, 4-6       giante canestro nel quale i bimbi erano stati  [...] I ladroni, furiosi per aver perduto la
                                                      abbandonati, una lupa assetata, scesa dai  loro preda, tesero ad essi un agguato, cat-
                  La Vestale, essendole stata fatta violenza e  monti circostanti, fu attratta dai loro vagiti;  turarono Remo – Romolo s’era invece vali-
                  avendo dato alla luce due gemelli, sia che ne  che essa, abbassatasi, offrì le sue mammelle  damente difeso – e lo consegnarono al re
                  fosse realmente convinta, sia perché meno  ai piccini con tanta mansuetudine, che il  Amulio, accusandolo per giunta. Gli face-
                  disonorevole apparisse una colpa di cui era  mandriano del re – dicono si chiamasse  vano carico soprattutto  d’aver invaso i
                  responsabile un dio, attribuisce a Marte la  Faustolo – la trovò nell’atto di lambire i  campi di Numitore e di averli depredati
                  paternità della sua illegittima prole . Ma né  bimbi con la propria lingua; che costui li  con una folta schiera di giovani a guisa di
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                  gli dèi né gli uomini sottraggono lei e la sua  portò nelle sue stalle e li affidò da allevare  nemici. Così Remo viene consegnato a Nu-
                  prole alla crudeltà del re : la sacerdotessa, in                         mitore perché lo punisca.
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                  catene, viene imprigionata; quanto ai bim-  alla moglie Larenzia. [...]  Fin  dal  primo  momento  Faustolo  aveva
                  bi, egli ordina che siano gettati nella corren-  Nati e allevati in tal modo, non appena fu-  nutrito la speranza che i bimbi allevati in
                  te del fiume.                       rono cresciuti negli anni, pur non mo-  casa sua fossero di sangue reale: sapeva in-
                  Per un caso, che ha del divino, il Tevere, che  strandosi inattivi nella cura delle stalle e  fatti che dei neonati erano stati esposti per
                  era straripato dilagando in placidi stagni,  degli armenti, amavano errare cacciando  ordine del re, e che il tempo corrisponde-
                  non permetteva di accostarsi fino al letto  per le selve. Perciò, irrobustiti nel corpo e
                  normale del fiume, mentre dava ai portato-  nell’animo, non affrontavano più soltanto
                  ri la speranza che i bimbi potessero ugual-  le fiere, ma assaltavano i ladroni carichi di  1. La Vestale, sacerdotessa di Vesta, dea del focolare,
                  mente venir sommersi dalle acque, per  preda distribuendo il bottino fra i pastori,  aveva l’obbligo della verginità. Il racconto riguarda
                                                                                           Rea Silvia [®nota 2].
                  quanto inerti esse fossero. [...] Persiste an-  e insieme con loro, mentre di giorno in  2. Amulio, re di Alba, aveva tolto il trono al fratello
                  cora la tradizione che, quando le acque po-  giorno s’accresceva la schiera dei giovani,  Numitore, e obbligato la figlia di lui Rea Silvia a far-
                  co profonde lasciarono in secco l’ondeg-  attendevano alle occupazioni e agli svaghi.  si Vestale.


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