Page 251 - Storia dell'inquisizione spagnola
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—L’accusato allega la sua ignoranza —Perché avete negato?
– Credevo di cavarmela meglio negando —Credete
veramente e profondamente in ciò che avete detto: i vostri
dinieghi lo provano — Egli allega nuovamente la sua
ignoranza».
Le udienze che seguono sono puramente formali: vengono
lette al colpevole le testimonianze ed egli confessa tutto. L’
11 ottobre, esattamente due mesi dopo il suo ingresso nelle
prigioni inquisitoriali, lo si rilascia, con l’obbligo di risiedere
a Toledo. Il 4 giugno 1471 egli abiura de levi sulla piazza
dello Zucodover durante l’autodafé. Gli si proibisce per
sempre di recitare in pubblico preghiere non approvate dalla
Chiesa .
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È questo un processo tipico: sul banco degli accusati un
eretico contro la propria volontà, che con tutte le sue forze
coscienti, aderisce alla sua fede senza conoscerla bene. Al
centro di tutto, certamente rimane la preoccupazione della
confessione, ma anche quella di convincere. Una
argomentazione serrata che cerca di mettere l’accusato in
contraddizione con se stesso, di fargli prendere coscienza
che le formulazioni della fede che conosce a memoria e alle
quali aderisce meccanicamente contraddicono alle sue
stesse parole. E questo in un clima di forte tensione: la
prigione, la parola «eretico», che l’inquisitore non usa mai,
ma che il fiscale brandisce nella sua accusa e che domina
tutta la scena. La paura, lo smarrimento all’idea di vedersi
appioppare un’etichetta vergognosa, negazione
dell’immagine stessa che il colpevole ha di sé. Il prestigio del
giudice, garante supremo della fede, la sua evidente
superiorità intellettuale, tutto ciò si confonde nella mente
dell’imputato che alla fine crolla e ammette tutto ciò che
vogliono.
Opera di convinzione, opera di educazione. Per López il
trattamento intensivo. Per gli spettatori dell’autodafé,
attraverso di lui una solenne avvertenza e il chiarimento di
un aspetto della dottrina: una lezione di catechismo in
grande stile con un condizionamento che deve renderla