Page 77 - Federico II e la ribellione del figlio
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nettamente divaricate. 111 In entrambi v’era la
consapevolezza della necessità di ricondurre ad
un’istanza unitaria il potere feudale e di non lasciar
spazio a pretese di autonomia politica delle città.
Anche nella vicenda della persecuzione degli eretici,
che pure contribuí ad allargare il solco tra i due, non vi
furono due strategie diverse. Federico non era un
persecutore fanatico. In altre situazioni oppose tolleranza
agli integralismi antiebraici del mondo cattolico. Era
però un politico che disinvoltamente anteponeva i suoi
interessi a qualunque altra istanza o esigenza.
L’intransigenza contro gli eretici gli era servita
politicamente per tenere dalla sua l’intransigente papa
Gregorio IX e per riaffermare il suo preminente ruolo
nella Cristianità, ma gli era servita anche da paravento
per colpire duramente, «col pretesto degli eretici», i suoi
avversari politici, come gli rinfacciò il papa,
rivolgendogli per questo un rimprovero pubblico. 112
Enrico, dal canto suo, non era certo dalla parte degli
eretici. Semplicemente chiedeva che nella campagna
contro di loro non si trascurasse completamente un pur
minimo senso di giustizia. La sua giovanile “ingenuità”
non gli faceva accettare né il fanatismo persecutorio, né
le ciniche strumentalizzazioni politiche della vicenda. Di
queste ragioni, che in cuor suo riteneva sacrosante,
finiva per alimentare sempre piú la radicata, latente
insofferenza verso l’oppressiva intrusione paterna, fatta
a colpi di diktat a distanza.
In definitiva, nel contrasto fu determinante il