Page 119 - Un fisico in salotto
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parallela alla retta data’. Ricordate infatti uno dei famosi postulati della geometria

          euclidea?
             Ebbene, le cose stanno proprio così: ci troviamo di fronte alla scelta tra rimanere
          seduti  e  alzarci;  ma  di  fatto,  dopo  qualche  istante,  ci  saremo  alzati  e  non  saremo
          rimasti seduti, per esempio. Dov’è finita la nostra libertà? Diciamo pure così: prima
          pensavamo alle nostre possibili scelte ma dopo la realtà ci mostra una e una sola
          scelta.  In  altre  parole, prima  avevamo  l’illusione  di  poter  scegliere,  ma dopo  ci

          siamo alzati. Chi ci può dire che i meccanismi del nostro cervello non ci abbiano
          obbligato ad alzarci?
             Che esistano meccanismi che almeno limitano le nostre scelte e ci ‘obbligano’ ad
          agire in un modo piuttosto che in un altro è comunque fuor di dubbio. Possiamo fare
          esempi, partendo dai più banali.
             Uno di questi ultimi è certamente un tic che ci obbliga a un gesto che sarà sempre
          quello.  Un  esempio  meno  banale  può  essere  quello  dei  modi  di  dire:  in  una

          conversazione ci troviamo a trattare degli argomenti più svariati ma usiamo sempre,
          prima  di  cominciare,  il  ‘beh’  o  ‘dunque’.  Oppure,  nella  rosa  di  numerose  scelte,
          utilizziamo sempre lo stesso avverbio come, per esempio ‘sostanzialmente’. Diremo
          sempre:  «Il  problema  è  sostanzialmente  questo».  «Nino  ha  fatto  la  cosa
          sostanzialmente giusta». «Matteo ha sostanzialmente ragione». E così via.
             A  proposito  dei  modi  di  dire,  mi  viene  in  mente  un  episodio  che  mi  è  stato

          raccontato da mio padre.
             Mi  raccontò  che,  quando  lui  era  ancora  poco  più  di  un  bambino,  viveva  in  un
          piccolo  appartamento  in  via  Palermo,  a  Roma. A  quei  tempi,  senza  televisione  e
          videoregistratori, c’era un contatto molto più stretto con i vicini di casa di quanto
          non avvenga oggi e l’incontro con i vicini era più ‘ricco’ di discorsi, di scambio di
          opinioni e anche di qualche pettegolezzo.
             Tra i vicini di casa c’era un signore che aveva un curioso intercalare. A ogni piè

          sospinto  diceva:  «siamo  eccosa».  Mio  padre  mi  disse  che  non  era  mai  riuscito  a
          capire veramente cosa quel signore intendesse dire: forse, ‘siamo solo una cosa’?
          Chissà.
             E così non saprei neanche correttamente trascrivere quel motto: «Siamo e cosa?»
          Oppure: «Siamo eh, cosa?» Non scendiamo in questa analisi glottologica: diciamo

          pure che si trattava di un siamo eccosa come ho scritto all’inizio.
             Non solo mio padre, ma tutti gli altri bambini con i quali giocava nel cortile del
          palazzo  non  sapevano  il  significato  di  quell’espressione  che  compariva  ovunque:
          «Sa, signora, sul giornale siamo eccosa ho letto che Mussolini ha indetto una grande
          festa  nazionale...»  Oppure:  «La  Roma  quest’anno  gioca  veramente  bene, siamo
          eccosa».
             Non c’è bisogno di dire che questo siamo eccosa era l’occasione delle innocenti
          risate dei bambini che avevano reso partecipi anche i relativi genitori, i quali magari

          non  ci  avevano  fatto  caso.  In  poche  parole,  quello  era  diventato  il  signor Siamo
          Eccosa del quale tutti bonariamente ridevano.
             Un giorno, un inquilino del palazzo morì. E tutti gli altri inquilini si recarono a
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