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40 Novelle                                                              Hans Christian Andersen

            l'ostinata, sai? Se no, co' miei denti bianchi, son capace di ridurti alla ragione. È un buon partito, e
            tu lo sposerai. Nemmeno la Regina ha una pelliccia di velluto nero come l'ha lui; e nella sua cucina
            e nelle cantine c'è d'ogni ben di Dio. Ringrazia il Signore, piuttosto, della fortuna che ti è toccata.»
                   E così giunse il giorno delle nozze. Il talpone era già venuto a prender Pollicina, ed essa
            doveva andar a vivere con lui, giù giù sotto terra, senza poter mai uscire alla luce del sole, perchè il
            sole a lui non piaceva. La povera piccolina era disperata: doveva dire addio per sempre al bel sole,
            cui il topo di campo, almeno, le aveva concesso di guardare ogni tanto, dalla soglia dell'uscio.
                   «Addio, bel sole mio!» — disse, e tese le braccia verso il cielo; poi si allontanò di qualche
            passo dalla casa del topo, perchè ora le pannocchie erano colte, e non rimanevano più nel campo
            che i fusti secchi. — «Addio!» ripetè ancora una volta, e buttò le braccia intorno alla corolla d'un
            fiorellino rosso, l'unico che ancora rimanesse nel campo: — «E tu salutami la mia cara rondinetta,
            se la rivedi.»
                   «Videvit! Videvit!» — sentì a un tratto sopra il suo capo. Guardò su: era la rondinella, che
            per l'appunto passava di lì a volo. Quando scorse Pollicina, fu tutta contenta; e Pollicina le raccontò
            come fosse disperata, perchè le toccava prendere per marito quel brutto talpone, e andare a vivere
            sotto terra, dove non riluce mai sole. E non poteva rattenere il pianto.
                   «L'inverno è vicino,» — disse la rondine: «ed io sto per prendere il volo verso i paesi caldi:
            vuoi venire con me? Ti metterai sul mio dorso, e voleremo lontano dal brutto talpone e dal suo buio
            palazzo, via di qui, via di qui, nei paesi caldi, di là dai monti, dove il sole è più ardente, via di qui,
            dov'è sempre estate, via di qui, dove ci sono sempre fiori. Vieni, vieni con me, cara Pollicina, che
            mi hai salvato la vita, quando giacevo gelata nel buio sotterraneo.»
                   «Sì, verrò con te!» — disse Pollicina; e sedette sul dorso dell'uccello: posò i piedini su di
            un'ala spiegata e legò fortemente la propria cintura ad una delle penne maestre. Poi la rondinella
            spiccò il volo, per boschi e per mari, su su alto, al di sopra delle montagne dove la neve non si
            scioglie mai; e Pollicina sentiva freddo nell'aria frizzante; ma allora si ficcava sotto le penne della
            rondine e stava lì, al calduccino, e non metteva  fuori il capo se non per ammirare tutte quelle
            bellezze tra le quali passava.
                   Alla fine arrivarono nei paesi  caldi. Là il sole splendeva  più vivido che da noi; il cielo
            sembrava il doppio più alto; sui poggi e nei campi, filari di viti che non finivano più, e sulle viti
            grappoloni enormi color di viola e d'oro; i limoni e gli aranci formavano boschi addirittura, tutti
            carichi di frutta: l'aria era profumata di mirto e di rose e nelle strade era tutta un'allegria di bimbi
            che giuocavano a rincorrere le farfalle screziate di mille colori. Ma la rondine non si fermò neppur
            lì; e vola, e vola, e vola, più volavano e più bello diveniva tutto all'intorno. Finalmente, sotto a certi
            begli alberi verdi, alti alti, presso ad un lago azzurro, eccoti un bel palazzo di marmo bianco e
            lucente. La vite si arrampicava per gli alti colonnati; sotto al tetto c'erano molti nidi di rondine, ed
            in uno di questi stava di casa la rondinella che aveva portato Pollicina.
                   «Ecco la mia casa!» — disse la rondine: «Ma non è giusto che tu abbia ad abitare qui. Non è
            ancora in ordine, — troppo ci manca! — e tu non ti troveresti bene. Scegliti uno di quei magnifici
            fiori che crescono laggiù, ed io ti ci poserò, e là dentro tu avrai tutto quello che puoi desiderare.»
                   «Che gioia!» — disse Pollicina; e battè le manine.
                   C'era là vicino una grande colonna di marmo, caduta a terra e rotta in tre pezzi; ma intorno a
            quei frammenti crescevano grandi fiori bianchi, di meravigliosa bellezza. La rondine volò giù dal
            nido con Pollicina, e la depose su una di quelle grandi foglie. Ma quale non fu la sua sorpresa! Nel
            mezzo del fiore, bianco e trasparente che pareva di cristallo, stava  seduto un omettino piccino
            piccino. Aveva sul capo la più bella coroncina d'oro, e sulle spalle due alucce una più lucente
            dell'altra. Tra tutto, era poco più alto di Pollicina. Era il Genio del fiore, e in ogni fiore ce n'era uno
            — un omino o una donnina grandi così; ma quello era il Re, che comandava a tutti gli altri.
                   «Ah! com'è bello!» — sussurrò Pollicina alla rondinella.
                   Il piccolo Principe ebbe un grande spavento alla vista della rondine, perch'era un uccello
            addirittura gigantesco a paragone di lui, così piccolino. Ma quando vide Pollicina, fu tutto contento:
            era la più bella ragazzina, che avesse mai veduta. Perciò si tolse la corona d'oro e la pose sul capo di
            lei; poi le domandò che nome avesse e se volesse essere sua moglie, che sarebbe divenuta Regina di

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