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40 Novelle                                                              Hans Christian Andersen




                                            IL GUARDIANO DI PORCI


                   C'era una volta un povero principe, il quale aveva un regno piccino piccino; sempre grande
            abbastanza, però, per poter prendere moglie; e questo per l'appunto egli voleva.
                   Veramente, l'andar a domandare alla figliuola dell'Imperatore: «Mi vuoi per marito?» — fu
            un po' temerario da parte sua. Pure egli l'osò, perchè il suo nome era famoso sin nelle più remote
            contrade, e cento e cento principesse sarebbero state felici di dirgli di sì. Che credete, in vece, che
            rispondesse lei?
                   State attenti, e sentirete.
                   Sulla tomba del padre di questo principe, cresceva un rosaio... Ah, che rosaio era quello!
            Fioriva soltanto ogni cinque anni, ed anche allora portava una sola rosa: ma una rosa dal profumo
            così soave, che faceva dimenticar  tutte le cure e tutti  i crucci. Il principe possedeva anche un
            usignuolo, il quale sapeva cantare tanto bene, che pareva racchiudesse nella piccola gola tutte le più
            belle melodie dell'universo. La rosa e l'usignuolo erano i doni destinati alla principessa; e perciò le
            furono spediti, chiusi in grandi custodie d'argento.
                   L'Imperatore li fece portare alla sua presenza  nella sala grande, dove la principessa, in
            mancanza di meglio, stava giocando alle visite con le sue damigelle. Quand'ella vide le grandi
            custodie d'argento coi doni, battè le mani dalla gioia.
                   «Ah, se ci fosse dentro un gattino!...» — diss'ella: ma apparve in vece la magnifica rosa.
                   «Com'è bella, com'è ben fatta.» — esclamarono tutte le dame.
                   «È più che bella,» — dichiarò l'Imperatore: «è stupenda.»
                   Ma la principessa l'odorò, e per poco non iscoppiò in lacrime.
                   «Oh, papà,» — disse: «ma non è artificiale: è una rosa vera!»
                   «Bah!» — fecero tutti i cortigiani: «Una rosa vera!»
                   «Bene, vediamo che cosa c'è nell'altra custodia, prima di andare in collera!» — disse
            l'Imperatore; ed allora  apparve l'usignuolo; e cantò così mirabilmente, che proprio non si potè
            trovarci nulla a ridire.
                   «Superbe! Charmant!» — esclamarono tutte le dame, perchè tra loro chiacchieravano
            sempre in francese, e l'una peggio dell'altra, a dir vero.
                   «Ah! come quest'uccello mi rammenta lo stipo armonico della povera Imperatrice, di santa
            memoria!» — disse un vecchio cavaliere: «È proprio lo stesso tono, la stessa espressione!»
                   «È vero!» — disse l'Imperatore, e pianse come un bambino.
                   «Questo, almeno, non sarà un uccello vero!» — disse la principessa.
                   «Sì, Altezza; è un uccello vero,» — risposero quelli che l'avevano portato.
                   «E allora, lo si lasci volar via!» — ordinò la principessa; ed a nessun costo volle permettere
            che il principe venisse alla corte.
                   Ma il principe non era uomo da perdersi d'animo per così poco. Si tinse il viso di nero, si tirò
            il berretto sugli occhi, e picchiò all'uscio.
                   «Buon giorno, Imperatore!» — disse: «Potrei ottenere un impiego nel castello?»
                   «Eh, caro mio, ce ne sono tanti che cercano impiego!» — rispose l'Imperatore. «Lascia
            vedere, però. Sì, al momento, ho proprio bisogno di qualcuno che  mi guardi i maiali: ne ho un
            branco enorme, qui, dei maiali...»
                   E così il principe fu nominato guardiano imperiale dei porci: gli fu assegnato un bugigattolo
            vicino al porcile, e là doveva stare. Per tutta la giornata si mise lì a lavorare, e quando venne la sera,
            aveva già terminata una bella pentolina. Intorno all'orlo, ci aveva attaccati certi bubbolini, i quali,
            appena la pentolina bolliva, si mettevano a sonare meravigliosamente il motivo di quella vecchia
            canzonetta, che incomincia:

                                   Ah, mio povero Agostino,
                                      Tutto è andato, andato, andato!

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