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40 Novelle Hans Christian Andersen
CECCHINO E CECCONE
Vivevano in un villaggio due uomini dello stesso nome; tutti e due si chiamavano Cecco; ma
l'uno aveva quattro cavalli, l'altro ne aveva uno solo; e così, per distinguerli, la gente chiamava
Ceccone l'uomo dei quattro cavalli, e Cecchino l'altro. Sentirete ora quel che avvenne a questi due
uomini, perchè la mia è storia proprio vera genuina.
Per tutta la settimana, Cecchino era obbligato ad arare i campi di Ceccone ed a prestargli
anche il suo unico cavallo; e Ceccone, in cambio, gli dava a prestito tutti e quattro i suoi cavalli; ma
una sola volta per settimana, la domenica. Che gioia! Come schioccava la frusta Cecchino, quel
giorno, sopra i suoi cinque cavalli! Poichè, per quel giorno, era come se fossero tutti suoi. Il sole
splendeva, le campane suonavano a festa, la gente era tutta vestita con gli abiti buoni, e si avviava
alla chiesa, col libro delle preghiere sotto il braccio. Passando, tutti vedevano Cecchino che arava il
suo campo, allegro come una pasqua, e schioccava e schioccava la frusta, gridando: «Hop! le mie
brave bestie! Hop! Hop!»
«Non ti permetto di parlare a codesto modo,» — disse Ceccone, «perchè uno solo dei cavalli
è tuo.»
Ma, quando passava gente, Cecchino dimenticava la proibizione, e gridava: «Hop! le mie
brave bestie, hop, hop!»
«Ti ho già detto una volta di non parlare a codesto modo!» — gridò Ceccone: «Se ci
ricaschi, ti avverto che darò tale una mazzata sul capo del tuo cavallo, da farlo cader morto; e allora
sarà finita una volta per tutte!»
«Non lo dirò mai più di sicuro!» — promise Cecchino.
Ma di lì a poco venne di nuovo a passar gente; e chi lo salutava con un cenno del capo, chi
gli gridava: Buon giorno, Cecchino! — ed egli allora non seppe contenere la sua allegria, pensò
ch'era una gran bella cosa l'avere cinque cavalli per arare il proprio campo, e schioccò da capo la
frusta, gridando: «Hop, le mie brave bestie!»
«Te le darò io, le tue brave bestie!» disse Ceccone: e, preso il maglio, dette una mazzata sul
capo dell'unico cavallo di Cecchino; e il cavallo cadde a terra sul momento bell'e morto.
«Povero me! Ora non ne ho più nemmeno uno!» — disse Cecchino, e principiò a piangere.
Poi dopo, scuoiò il cavallo e stese la pelle a seccare all'aria; quando fu bene asciutta, la mise
in un sacco, se la caricò sulle spalle e s'incamminò verso la città, per andarla a vendere.
Ma la strada era molto lunga, e per arrivare alla città bisognava passare una grande foresta
nera nera. Scoppiò un fortissimo temporale, e Cecchino smarrì la via; prima che l'avesse ritrovata,
calò la sera. Oramai era troppo tardi, tanto per ritornare a casa, quanto per arrivare alla città prima
di notte.
A pochi passi dalla strada maestra, c'era un grande cascinale. Le imposte erano chiuse, ma
lasciavano intravedere però qualche filo di luce.
«Chi sa che non mi diano alloggio per questa notte!» — pensò Cecchino; e andò all'uscio, e
picchiò.
La moglie del contadino venne ad aprire; ma quando udì quel che domandava, gli disse di
andarsene, che suo marito non c'era, ed ella non prendeva in casa forestieri.
«E allora, mi toccherà passar la notte di fuori!» — disse Cecchino; e la donna gli chiuse
l'uscio in faccia.
Lì accanto, c'era un pagliaio; e tra il pagliaio e la cascina un piccolo fienile coperto.
«Lassù starò benissimo,» — disse Cecchino, guardando il tetto: «Ecco un letto come meglio
non potrei desiderare. Speriamo che la cicogna non venga giù a mordermi le gambe.» Infatti, una
cicogna viva stava ritta sul piccolo tetto, dove aveva fatto il nido.
Cecchino salì dunque sul fienile, proprio su, che toccava il tetto; si sdraiò e si rivoltò,
cercando la posizione più comoda. Le imposte della cascina non chiudevano interamente, in alto, il
vano delle finestre; e perciò egli poteva vedere benissimo dentro alla stanza. C'era una grande
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