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40 Novelle                                                              Hans Christian Andersen




                                                 I PROMESSI SPOSI


                   Un paléo ed una palla stavano con altri balocchi in un cassetto; e il paléo disse alla palla:
            «Se ci sposassimo, da che stiamo nello stesso cassetto?» Ma la palla, ch'era ricoperta di
            marocchino, e pretensiosa come lo sono spesso le belle signorine, non gli diede nemmeno risposta.
                   Il giorno dopo, venne il ragazzino cui i balocchi appartenevano, dipinse il paléo in rosso e
            giallo, e vi picchiò un chiodo  con la capocchia d'ottone: e così il paléo, girando, faceva una
            magnifica figura.
                   «Vede, eh?» — fece egli alla palla: «Che cosa ne dice ora? Non vuole che ci sposiamo?
            Siamo fatti l'uno per l'altro: Ella salta, io ballo... Nessuno potrebb'essere più felice di noi!»
                   «Ah, lo crede davvero?» — replicò la palla: «Ma non sa che mio padre e mia madre erano
            pantofole di marocchino e che io ho un turacciolo in corpo?»
                   «Sì, ma io sono di mogano,» — disse il paléo, «e mi ha tornito il Borgomastro con le sue
            mani; egli ha un tornio in casa, e ci si è divertito tanto...»
                   «È proprio vero?» — domandò la palla.
                   «Possa io non ricevere mai più colpo di frusta se dico una bugia!» — dichiarò il paléo.
                   «Parla bene lei!» disse la palla: «Ma io non posso. Sono quasi fidanzata ad un rondone. Ogni
            volta che vado su per aria, il rondone mette il capo fuor dal nido e grida: Di' di sì! Di' di sì! Dentro
            di me, ho già detto sì; e quindi è come se fossimo fidanzati. Ma glielo prometto: mai mi scorderò di
            lei.»
                   «Questo mi aiuta di molto!» — esclamò stizzito il paléo; e non si parlarono più.
                   Il giorno dopo, la palla fu tolta di lì. Il paléo la vide volare alto, per aria, come un uccello,
            sin che gli occhi non poterono più seguirla. Ogni volta ritornava, faceva un nuovo salto appena
            toccava terra, — fosse desiderio di risalire, o fosse il sughero che aveva in corpo. La nona volta,
            però, la palla rimase su e non tornò più. Il ragazzo la cercò e la cercò, ma via era andata e via
            rimase.
                   Lo so ben io dov'è andata!» — sospirò il paléo: «È andata nel nido delle rondini ed ha
            sposato il rondone.»
                   E più il paléo ci pensava, e più si sentiva attratto verso la palla; e appunto perchè non la
            poteva avere, il suo amore cresceva. Il fatto, poi, ch'essa avesse preso un altro, dava al caso un
            carattere particolare. Il paléo girava intanto su se stesso e brontolava ma pensava sempre alla palla,
            che, nella sua mente, diveniva sempre più e più bella. Così passarono parecchi anni, e questo suo
            era divenuto oramai un antico amore.
                   Il paléo, a dir vero, non era più giovane... ma un giorno lo dorarono. Non era mai stato così
            bello! Era divenuto un vero paléo d'oro, e girava, ch'era un piacere sentirne il ronzìo. Sì, era proprio
            bello! Una volta, però, diede un balzo troppo alto, e... addio il mio balocco!
                   Cerca e cerca — si frugò da per tutto, persino in cantina; ma non fu possibile ritrovarlo.
            Dov'era andato?
                   Era saltato in un immondezzaio dove c'era ogni sorta di rifiuti: torsoli di cavolo, spazzature,
            rottami, calcinacci caduti dalle grondaie.
                   «Un bel posto davvero per un par mio! Qui la mia doratura sarà presto bell'e andata. Povero
            me, tra che mucchio di cenci son capitato!» E sbirciò di traverso un torsolo, che gli stava troppo
            accosto, e un certo cosino rotondo che sembrava una mela vizza; ma non era una mela, era una
            vecchia palla rimasta per anni sulla grondaia del tetto, e mezzo sfasciata, tant'acqua aveva dovuto
            bere.
                   «Dio sia lodato! Ecco almeno uno della nostra società, col quale si potranno barattar due
            parole! — disse la palla, e guardò il paléo dorato. «Io sono di marocchino, fui cucita dalle mani
            delicate d'una signorina, ed ho in corpo un turacciolo; ora, però, nessuno lo direbbe. Ero sul punto
            di sposarmi con un rondone; ma, pur troppo, andai a cadere in una grondaia, dove rimasi cinque
            anni, e l'acqua per poco non mi affogò! Certo che per una fanciulla da marito cinque anni sono

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