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40 Novelle Hans Christian Andersen
morto ancora: rigido, pallido, stava disteso sul magnifico letto dalle lunghe cortine di velluto, dalle
pesanti nappe dorate; e la luna, che entrava dalla finestra aperta, batteva sul volto dell'Imperatore, e
sull'uccello meccanico.
Il povero Imperatore poteva a mala pena respirare: gli pareva di avere un grande peso sul
petto; aperse gli occhi, e vide ch'era la Morte, che stava appunto seduta sul suo petto, e s'era posta in
capo la sua corona d'oro, e teneva in una mano la spada dell'Impero; nell'altra, una bellissima
bandiera. Tutto all'intorno, di tra le pieghe delle ricche cortine di velluto, si affacciavano strane
figure; due o tre, molto brutte davvero; le altre, bellissime e miti. Erano tutte le azioni buone e
cattive, dell'Imperatore, le quali gli stavano dinanzi, ora che la Morte gli gravava sul cuore.
«Ti ricordi questo?» — sussurravano, l'una dopo l'altra: «E quest'altro, te lo ricordi?» — e,
tra tutte, gliene dicevano tante, che il sudore gli gocciolava dalla fronte.
«Questo non lo sapevo!» — diceva l'Imperatore: «Musica! musica! Presto il grande tam-tam
cinese,» — gridava, «ch'io non senta più tutto quello che dicono!»
E quelle continuavano a parlare, e la Morte a far di sì col capo a tutto quel che dicevano,
come un bonzo di sopra al caminetto.
«Musica! musica!» — gridava l'Imperatore: «A te, prezioso uccellino d'oro! Canta canta!
T'ho fatto tanti regali; t'ho dato oro e pietre preziose; ti ho persino appesa al collo la mia pantofola
d'oro: canta, ora; canta!»
Ma l'uccello stava muto; — non c'era lì alcuno che lo caricasse, e da solo non sapeva
cantare: la Morte continuava a fissare l'Imperatore con le larghe occhiaie vuote e tutto era silenzio,
silenzio terribile.
A un tratto, dalla finestra aperta, giunse un canto soave. Era l'usignuolo vivo, che stava
fuori, sopra un ramo. Aveva sentito i patimenti dell'Imperatore ed era venuto a cantargli un inno di
conforto e di speranza: e mentre cantava, gli spettri andavano sempre più impallidendo; il sangue
correva sempre più e più rapido nelle deboli membra dell'Imperatore; persino la Morte ascoltava, e,
di tratto in tratto, le sfuggiva detto: «Ancora, ancora, mio piccolo usignuolo!»
«Ma che cosa mi darai se canto ancora? Mi darai quella magnifica spada d'oro? Mi darai
quella ricca bandiera? Mi darai la corona dell'Imperatore?»
E per ogni nuova canzone, la Morte cedette ad uno ad uno i suoi tesori. L'usignuolo cantava,
cantava; diceva del tranquillo cimitero dove le bianche rose fioriscono; dove soavi i lillà odorano
sopra le tombe, e dove irrorano le fresche zolle tutte le lacrime di chi rimane. Allora la Morte provò
un irresistibile desiderio di rivedere il suo giardino, e volò via per la finestra, sotto forma di una
fredda candida nebbia.
«Grazie, grazie!» — disse l'Imperatore: «Ben ti riconosco, celeste uccelletto! Ti ho bandito
dalla città e dall'Impero, e pure tu hai scacciato dal mio letto gli spettri del male, ed hai bandito la
Morte dal mio cuore. Come potrò mai ricompensarti?»
«Ho già avuto la mia ricompensa;» — rispose l'usignuolo: «Ho veduto le lacrime ne' tuoi
occhi la prima volta che ho cantato alla tua presenza; nè potrò mai dimenticarle. Ecco i gioielli che
rallegrano il cuore del cantore. Ma ora dormi, se vuoi tornar forte e tranquillo. Ti canterò qualche
altra cosa.»
E cantò; e l'Imperatore cadde in un dolce sopore. Ah, com'era soave ristoro il sonno! Il sole
entrava dalla finestra fin sul letto, quando si destò riposato e guarito: nessuno de' suoi valletti era
tornato ancora, perchè tutti lo credevano morto: l'usignuolo soltanto gli stava vicino e cantava.
«Devi rimanere sempre con me!» — disse l'Imperatore: «Canterai come ti piace, ed io farò a
pezzi l'uccello meccanico.»
«No davvero!» — rispose l'usignuolo: «Esso ha fatto del suo meglio sin che ha potuto;
conservalo come solevi sino ad ora. Io non posso fare il mio nido nel palazzo, per viverci sempre;
lascia che ci venga quando ne sento desiderio: allora, la sera, mi poserò sul ramo accanto alla tua
finestra e ti canterò qualche cosa, che ti farà lieto e pensoso insieme. Ti canterò di quelli che sono
felici, e di quelli che soffrono; ti canterò del bene e del male, ch'è intorno a te, e ti rimane celato. Il
piccolo cantore vola per ogni dove, presso la capanna del povero pescatore e sul tetto del contadino,
e conosce tutti coloro che vivono lontani da te e dalla Corte. Io amo il tuo cuore più della tua
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