Page 74 - 40 Novelle
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40 Novelle                                                              Hans Christian Andersen

            morto ancora: rigido, pallido, stava disteso sul magnifico letto dalle lunghe cortine di velluto, dalle
            pesanti nappe dorate; e la luna, che entrava dalla finestra aperta, batteva sul volto dell'Imperatore, e
            sull'uccello meccanico.
                   Il povero Imperatore poteva a mala pena respirare: gli pareva di avere un grande peso sul
            petto; aperse gli occhi, e vide ch'era la Morte, che stava appunto seduta sul suo petto, e s'era posta in
            capo la sua corona d'oro, e teneva in una mano la spada dell'Impero; nell'altra, una bellissima
            bandiera. Tutto all'intorno, di tra  le pieghe delle ricche cortine di velluto, si affacciavano strane
            figure; due o tre, molto brutte davvero; le altre, bellissime e miti. Erano tutte le azioni buone e
            cattive, dell'Imperatore, le quali gli stavano dinanzi, ora che la Morte gli gravava sul cuore.
                   «Ti ricordi questo?» — sussurravano, l'una dopo l'altra: «E quest'altro, te lo ricordi?» — e,
            tra tutte, gliene dicevano tante, che il sudore gli gocciolava dalla fronte.
                   «Questo non lo sapevo!» — diceva l'Imperatore: «Musica! musica! Presto il grande tam-tam
            cinese,» — gridava, «ch'io non senta più tutto quello che dicono!»
                   E quelle continuavano a parlare, e la Morte a far di sì col capo a tutto quel che dicevano,
            come un bonzo di sopra al caminetto.
                   «Musica! musica!» — gridava l'Imperatore: «A te, prezioso uccellino d'oro! Canta canta!
            T'ho fatto tanti regali; t'ho dato oro e pietre preziose; ti ho persino appesa al collo la mia pantofola
            d'oro: canta, ora; canta!»
                   Ma l'uccello stava muto; — non c'era lì alcuno che lo caricasse, e da solo non sapeva
            cantare: la Morte continuava a fissare l'Imperatore con le larghe occhiaie vuote e tutto era silenzio,
            silenzio terribile.
                   A un tratto, dalla finestra aperta, giunse un  canto soave. Era l'usignuolo vivo, che stava
            fuori, sopra un ramo. Aveva sentito i patimenti dell'Imperatore ed era venuto a cantargli un inno di
            conforto e di speranza: e mentre cantava, gli spettri andavano sempre più impallidendo; il sangue
            correva sempre più e più rapido nelle deboli membra dell'Imperatore; persino la Morte ascoltava, e,
            di tratto in tratto, le sfuggiva detto: «Ancora, ancora, mio piccolo usignuolo!»
                   «Ma che cosa mi darai se canto ancora? Mi darai quella magnifica spada d'oro? Mi darai
            quella ricca bandiera? Mi darai la corona dell'Imperatore?»
                   E per ogni nuova canzone, la Morte cedette ad uno ad uno i suoi tesori. L'usignuolo cantava,
            cantava; diceva del tranquillo cimitero dove le bianche rose fioriscono; dove soavi i lillà odorano
            sopra le tombe, e dove irrorano le fresche zolle tutte le lacrime di chi rimane. Allora la Morte provò
            un irresistibile desiderio di rivedere il suo giardino, e volò via per la finestra, sotto forma di una
            fredda candida nebbia.
                   «Grazie, grazie!» — disse l'Imperatore: «Ben ti riconosco, celeste uccelletto! Ti ho bandito
            dalla città e dall'Impero, e pure tu hai scacciato dal mio letto gli spettri del male, ed hai bandito la
            Morte dal mio cuore. Come potrò mai ricompensarti?»
                   «Ho già avuto la mia ricompensa;» — rispose l'usignuolo: «Ho veduto le lacrime ne' tuoi
            occhi la prima volta che ho cantato alla tua presenza; nè potrò mai dimenticarle. Ecco i gioielli che
            rallegrano il cuore del cantore. Ma ora dormi, se vuoi tornar forte e tranquillo. Ti canterò qualche
            altra cosa.»
                   E cantò; e l'Imperatore cadde in un dolce sopore. Ah, com'era soave ristoro il sonno! Il sole
            entrava dalla finestra fin sul letto, quando si destò riposato e guarito: nessuno de' suoi valletti era
            tornato ancora, perchè tutti lo credevano morto: l'usignuolo soltanto gli stava vicino e cantava.
                   «Devi rimanere sempre con me!» — disse l'Imperatore: «Canterai come ti piace, ed io farò a
            pezzi l'uccello meccanico.»
                   «No davvero!» — rispose l'usignuolo: «Esso ha fatto del suo meglio sin che ha potuto;
            conservalo come solevi sino ad ora. Io non posso fare il mio nido nel palazzo, per viverci sempre;
            lascia che ci venga quando ne sento desiderio: allora, la sera, mi poserò sul ramo accanto alla tua
            finestra e ti canterò qualche cosa, che ti farà lieto e pensoso insieme. Ti canterò di quelli che sono
            felici, e di quelli che soffrono; ti canterò del bene e del male, ch'è intorno a te, e ti rimane celato. Il
            piccolo cantore vola per ogni dove, presso la capanna del povero pescatore e sul tetto del contadino,
            e conosce tutti coloro che vivono lontani da te e dalla Corte. Io amo il tuo cuore più della tua

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