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40 Novelle                                                              Hans Christian Andersen

            campanellini suonavano tanto forte, che non si sentiva la propria voce.
                   Nel mezzo della sala grande, dove sedeva l'Imperatore, avevano posta una gruccia d'oro, e su
            quella doveva stare l'usignuolo. Tutta la Corte era presente, e la piccola guattera aveva avuto licenza
            di appostarsi dietro la porta, perchè le era stato conferito il titolo di Cuoca effettiva di Corte. Tutti
            vestivano l'alta uniforme, e tutti guardavano l'uccellino grigio, che l'Imperatore aveva salutato con
            un cenno del capo.
                   E l'usignuolo cantò così meravigliosamente bene, che all'Imperatore vennero le lacrime agli
            occhi, e poi scesero giù giù per le gote. E allora l'usignuolo cantò ancora meglio, con tanta dolcezza,
            che il canto andava proprio al cuore. L'Imperatore rimase così sodisfatto, che voleva conferire
            all'usignuolo le sue pantofole d'oro, perchè le portasse al collo. Ma l'usignuolo, pur ringraziando,
            non volle accettare, dicendo di essere già compensato abbastanza.
                   «Ho veduto due lacrime negli occhi dell'Imperatore: questo val più di qualunque tesoro. Le
            lacrime di un Imperatore hanno una speciale potenza. Io sono più che compensato.» E cantò di
            nuovo, con la stupenda voce dolcissima.
                   «Ecco la più garbata civetteria che si sia mai veduta!» — dissero le dame che stavano sedute
            all'intorno; e provarono a tenere un po' d'acqua in bocca, per farla gorgogliare appena alcuno
            rivolgesse loro la parola. Pensavano con ciò di poter diventare tanti usignuoli. Ed i lacchè e le
            cameriere si dichiararono anch'essi sodisfatti; ed è tutto dire, perchè sono i più difficili di
            contentatura. In somma, l'usignuolo ottenne il più completo trionfo.
                   Ed ora, doveva rimanere alla Corte; doveva avere la sua gabbia, con libertà di uscire due
            volte al giorno ed una la notte. Quando l'usignuolo usciva, dodici valletti formavano la sua scorta; e
            ciascuno teneva un filo di seta, legato alle zampe dell'uccellino, e doveva tenerlo bene stretto. Chi
            avrebbe potuto trovar gusto a siffatte escursioni?
                   In tutta la città, non si faceva che parlare dell'uccello meraviglioso; quando due
            s'incontravano, l'uno diceva: «Usign...», l'altro: «...uolo», e poi tutti e due sospiravano e
            s'intendevano senza dire di più. A undici bambini di pizzicagnoli venne imposto il nome
            dell'uccelletto; e pure nessuno di essi seppe mai cantare una nota.
                   Un giorno, l'Imperatore ricevette un grosso pacco sul quale stava scritto: Usignuolo.
                   «Sarà un altro libro sul celebre uccello...» — pensò l'Imperatore.
                   Ma non era un libro; era una piccola opera d'arte, in vece, racchiusa in una scatola: un
            usignuolo meccanico, che cantava come il vero, ed era tutto tempestato di brillanti, di zaffiri e di
            rubini. Appena lo si caricava, cantava una delle arie dell'usignuolo vivo, e poi moveva la coda, e
            l'oro e l'argento scintillavano. Intorno al collo, aveva un nastrino con questa critta «L'usignuolo
            dell'Imperatore del Giappone è povera cosa a paragone di quello dell'Imperatore della Cina.»
                   «Ah, magnifica!» — dissero tutti; e subito a colui che aveva portato l'uccello meccanico fu
            conferito il titolo di Primo Fornitore di Usignuoli della Corte imperiale.
                   «Bisogna che cantino insieme: che duetto ha da essere!» — esclamarono i cortigiani.
                   E insieme cantarono; ma non andavano tanto bene, perchè l'usignuolo vero cantava, a modo
            suo, e quello artificiale obbediva al cilindro dentato che aveva dentro.
                   «Non è colpa sua,» — disse il  Maestro della Cappella imperiale: «Va perfettamente in
            tempo, e, quanto alla tecnica, è proprio della mia scuola.»
                   L'uccello meccanico dovette allora cantare da solo. Riportò un trionfo eguale a quello che
            aveva avuto il vero, ed era poi molto più bello a vedere: scintillava come i braccialetti e gli spilli
            gemmati.
                   Trentatre volte cantò lo stesso pezzo, senza mai stancarsi. La gente l'avrebbe riudito
            volentieri un'altra volta ancora; ma l'Imperatore disse che ora doveva cantare l'usignuolo vivo. Sì,
            ma dov'era andato? Nessuno aveva notato ch'era volato via dalla finestra aperta, per tornare al verde
            suo bosco.
                   «Che n'è avvenuto ?» — domandò l'Imperatore.
                   Tutti i cortigiani dissero un mondo di male dell'usignuolo, tacciandolo della più nera
            ingratitudine.
                   «Dopo tutto, dei due ci rimane il migliore!» — dissero.

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