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40 Novelle                                                              Hans Christian Andersen

                   E così l'uccello meccanico dovette cantare di nuovo: era la  trentesimaquarta volta che
            ascoltavano la stessa canzone; ma non la sapevano ancora bene a memoria, perchè era molto
            difficile. Il Maestro di Cappella lo lodò in particolar modo; affermava che era migliore
            dell'usignuolo vivo, non solo per l'aspetto esteriore, e per tutti quei magnifici brillanti, ma anche per
            il meccanismo interno.
                   «Perchè, vedete, signore e signori, vedete, sopra tutto, Sacra Maestà, con un vero usignuolo
            non si può mai calcolare quello che venga dopo; ma in questo artificiale, tutto è preveduto. Si può
            spiegarselo; si può aprirlo e far vedere alla gente com'è fatto, dove sia il cilindro, come giri e come
            una nota chiami l'altra.»
                   «Per l'appunto quel che volevamo dire noi!»  assentirono tutti.
                   E il Maestro di Cappella ebbe il permesso di mostrare l'uccello al popolo la domenica
            seguente. Anche il popolo aveva da sentirlo cantare: così comandava l'Imperatore. E lo sentirono, e
            rimasero così sodisfatti, come se si fossero tutti ubbriacati di tè, — perchè questa è proprio la
            passione dei Cinesi; e tutti fecero: «Oh!» e tesero l'indice e accennarono col capo. Ma il povero
            pescatore, che aveva udito l'usignuolo vero, disse:
                   «Canta bene abbastanza, e la canzone somiglia; ma ci manca qualche cosa; non so dir che,
            ma qualche cosa ci manca.»
                   L'usignuolo vero fu bandito dalla città e dall'Impero. Quello meccanico, in tanto, aveva
            preso il suo posto su di un cuscino di seta, accanto al letto dell'Imperatore: tutti i doni d'oro e di
            pietre preziose, che aveva ricevuti, erano schierati intorno ad esso; quanto a titolo, era giunto a
            quello di Grande Cantore Imperiale della Siesta; e quanto a grado, al Numero Uno della Mano
            Manca; perchè l'Imperatore dava maggiore importanza a quella parte dove sta il cuore; ed anche
            negli Imperatori il cuore è un po' verso sinistra. Il Maestro di Cappella scrisse un'opera in
            venticinque volumi sull'usignuolo meccanico — opera molto dotta e molto diffusa, zeppa delle più
            difficili parole cinesi; ma tutti del popolo affermavano di averla letta e compresa, per paura d'essere
            giudicati stupidi e d'avere i corpi calpestati.
                   Così, passò tutto un anno. L'Imperatore, la Corte e tutti gli altri Cinesi sapevano a memoria
            ogni più lieve gorgheggio nella canzone dell'uccello meccanico. Ma appunto per questo piaceva
            loro ancora di più perchè potevano accompagnarla cantando essi pure, e così facevano infatti. I
            monelli, per le vie, cantavano: «Tsi-tsi-tsi-glug-glug!» e l'Imperatore stesso faceva altrettanto. Ah,
            era proprio bellissimo!
                   Ma una sera, mentre l'uccello meccanico cantava del suo meglio, e l'Imperatore, disteso a
            letto, lo stava ad ascoltare, qualche cosa dentro dell'usignuolo fece: «Whizz!» Si udì uno schianto:
            «Whir-rr!» Tutte le ruote girarono a un tempo, e la musica si arrestò bruscamente.
                   L'Imperatore balzò dal letto, e fece chiamare il suo medico particolare: ma che poteva farci
            il medico? Allora fu mandato in cerca d'un orologiaio, e, dopo molte parole e molti esami,
            l'uccellino fu posto sotto una specie di cura: ma l'orologiaio disse che bisognava trattarlo con molti
            riguardi, perchè le lamine erano logore, e sarebbe stato impossibile sostituirle con lamine nuove in
            modo che la musica sonasse egualmente. Il lamento fu generale: solo una volta l'anno fu concesso
            che l'usignuolo cantasse, ed anche questo era forse già troppo. Il Maestro di Cappella fece però un
            discorsetto, per dimostrare che tutto andava bene come prima; e così, naturalmente, tutto andò bene
            come prima.
                   Passarono cinque anni, ed un vero dolore venne a colpire l'intera nazione. I Cinesi volevano
            in fondo un gran bene al loro Imperatore; ed ora egli era gravemente malato, e, a quanto si diceva,
            poco più poteva durare. Già era designato un nuovo Imperatore, e la gente si affollava nelle vie, e
            domandava al Cavaliere le nuove dell'Imperatore malato.
                   «P!» — rispondeva questi; e scrollava il capo.
                   Freddo e pallido giaceva l'Imperatore nel suo grande letto sfarzoso; tutta la Corte lo credeva
            già morto, e tutti si affrettavano a prestare omaggio al nuovo Sovrano. I ciambellani erano corsi
            fuori per discorrerne a loro agio, e le ancelle s'erano tutte riunite a prendere il caffè ed a fare due
            chiacchiere. Da per tutto, nei vestiboli, nei corridoi, erano stesi grossi tappeti, perchè non si avesse a
            sentire il rumore dei passi; e perciò tutto era quiete e silenzio nella reggia. Ma l'Imperatore non era

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