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40 Novelle Hans Christian Andersen
«La tua bellezza;» — rispose la strega: «la graziosa andatura, gli occhi che parlano; con essi
ben potrai cattivarti un cuore umano. Hai bell'e perduto il coraggio, eh? Metti fuori la tua piccola
lingua, ch'io la tagli per mio pagamento, ed avrai il filtro possente.»
«E sia!» — disse la sirenetta.
Allora la strega mise al fuoco la pentola per far bollire il filtro.
«La pulizia è la prima cosa!» — diss'ella; e ripulì la pentola con i serpenti, di cui aveva fatto
un grosso groviglio a mo' di cencio; poi si graffiò il petto, e lasciò colare nella pentola il nero suo
sangue. Il vapore si levava nelle più strane forme, così strane e terribili, che sarebbero bastate quelle
a spaventare chi stava a vedere. Ad ogni istante, la strega buttava nella pentola nuovi ingredienti; sì
che quando fu a bollore, mandava un suono come il pianto d'un coccodrillo. Alla fine, il filtro fu
pronto: era chiaro come l'acqua più pura.
«Eccoti servita!» — disse la strega.
E mozzò la lingua alla Principessa; ed ella divenne muta per sempre e non potè mai più
cantare nè parlare.
«In caso che i polipi ti afferrassero, quando riattraverserai il mio bosco,» — disse la strega,
«non hai che a spruzzarli con qualche goccia di questo filtro, e le loro branche e le dita cadranno in
mille frantumi.» — Ma la Principessa non ebbe bisogno di ciò, perchè i polipi si tiravano da parte
impauriti, appena vedevano il liquido fiammeggiante, che brillava tra le sue mani come una stella. E
così ell'ebbe presto attraversato il bosco, il pantano e la voragine.
Vedeva ora la reggia di suo padre: le torcie del grande vestibolo erano spente; certo tutti
dormivano là dentro... Ma non osò andare dai suoi, ora che, fatta muta, era sul punto di
abbandonarli per sempre. Le pareva che il cuore le scoppiasse dalla gran passione. Penetrò nel
giardino, colse un fiore dall'aiuola di ciascuna delle sue sorelle, mandò mille baci verso il palazzo, e
si alzò a nuoto per il cupo mare azzurrino.
Il sole non era ancora levato, quando scorse il palazzo del Principe e salì lo splendido
scalone di marmo. La luna mandava un meraviglioso chiarore. La sirenetta bevette il filtro, che
bruciava come il fuoco, e le sembrò che una spada a due tagli le trapassasse il corpo delicato: si
sentì mancare, e rimase lì come morta. Quando riprese i sensi, il sole era già alto sul mare, ed ella
provò un dolore acutissimo. Ma per l'appunto in quel momento si vide dinanzi il bel Principe, che la
fissava con que' suoi occhioni neri come il carbone, ed ella abbassò i suoi. Si avvide allora che la
coda di pesce era sparita, e che aveva in vece i più bei piedini, che mai fanciulla al mondo abbia
potuto desiderare. Ma non aveva vesti, e per ciò si avvolse nei lunghi capelli. Il Principe le
domandò come mai fosse giunta colà, ed ella lo guardò con dolcezza, ma molto tristamente, con i
cupi occhi azzurri, perchè parlare non poteva. Allora egli la prese per mano e la condusse nel
castello. Ogni passo che moveva, era — la strega l'aveva predetto — come se camminasse sugli
aghi o sui coltelli appuntiti; ma sopportava volentieri la sua tortura. Camminava alla destra del
Principe, leggiera come una bolla di sapone, e tutti rimanevano attoniti per la grazia flessuosa de'
suoi movimenti.
Alla corte le furono date magnifiche vesti di seta e di velo, ed era la più bella creatura di
tutto il castello; ma era muta, non poteva cantare nè parlare. Bellissime schiave, vestite di seta e
d'oro, cantavano dinanzi al Principe ed alla famiglia reale; una cantava più dolcemente delle altre,
ed il Principe le sorrideva e le batteva le mani. Allora, la piccola sirena si attristava, poi che un
tempo ella aveva cantato ben più dolcemente, e pensava: «Oh, se almeno sapesse che ho rinunziato
per sempre alla mia voce, per istargli vicino!»
Le schiave ballavano poi molte danze ondeggianti, bellissime, accompagnate dalle più dolci
musiche; e allora la sirenetta levava le belle braccia candide, si alzava in punta di piedi, e guizzava
sfiorando appena il pavimento, quasi senza toccarlo, come nessun'altra sapeva. Ad ogni movenza,
pareva farsi più bella, ed i suoi occhi andavano diritti al cuore meglio assai che i canti delle schiave.
Tutti n'erano affascinati, e più di tutti il Principe, il quale la chiamava la sua piccola
trovatella; ed essa ballava e tornava a ballare, sebbene, ogni volta toccava terra, le paresse di
camminare sui coltelli acuminati. Il Principe disse che doveva rimanere sempre alla corte; ed ella
ottenne di poter dormire su di un cuscino di velluto, alla porta della camera di lui.
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