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40 Novelle                                                              Hans Christian Andersen

            raccontare una novella ai bambini che ha d'intorno, l' Andersen si dolse: «O perchè soltanto
            bambini? Io non ho scritto per i bambini soltanto...»
                   No, egli ha scritto per tutti; ha scritto per quel «fanciullino» che vive ancora, grazie a Dio,
            nell'anima di noi tutti, e dell'anima è la purezza e la poesia.
                   D'altra parte, — Anatole France lo ha detto mirabilmente, — per farsi intendere dai fanciulli,
            nulla v'ha di meglio del genio. «Se scrivete per i fanciulli, non vi fate una maniera speciale: pensate
            bene, scrivete bene — è l'unico secreto per piacere ai piccoli lettori... Lo stesso Robinson Crusoe,
            ch'è da un secolo il libro classico della fanciullezza, non fu già scritto a suo tempo per i fanciulli,
            ma per gli uomini: per i gravi mercanti della city di Londra e per i marinai di Sua Maestà. L'autore
            vi ha messo tutta l'arte sua, la sua rettitudine, il suo vasto sapere, la sua esperienza... E si vede che
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            tutto ciò è nè più nè meno di quel che ci vuole per divertire quattro monelli di scuola!» .
                   I fanciulli provano anzi generalmente certa istintiva repugnanza a leggere i libri scritti
            apposta per essi. Troppo spesso rimasero delusi;  chè certi scrittori, per mettersi a portata delle
            giovani menti, si credono di dover tornar bambini, «senza l'innocenza e senza la grazia.» Nulla, in
            vece, annoia tanto il fanciullo quanto le fanciullaggini degli adulti. Il piccino spera sempre che i
            grandi lo prendano in collo, e lo sollevino all'altezza della finestra, per guardar fuori, quel che da sè
            non arriva a vedere, l'ignoto, il nuovo di cui ha sete, il mondo, in somma, «il mondo che nasce per
            ognun che nasce al mondo.» Ma se i grandi poi non sanno di meglio che accoccolarsi a terra vicino
            a lui, e presentargli, ad uno ad uno, i suoi balocchi soliti...
                   Il modo toscano «fare i balocchi» ha la sua filosofia. (Penso a quella bambina che, vedendo
            moversi e camminare una bambola meccanica, esclamò, come mortificata: Ma gioca già da sè!...).
            Il bello è giocare con gli oggetti che non sono balocchi, e farli diventare, ingegnandosi, col lavorìo
            dell'immaginazione: e tanto maggiore sarà lo sforzo per coprire i difetti della materia e costringerla
            a raffigurare l'idea, tanto maggiore sarà la soddisfazione. L'Andersen, rimasto egli stesso, sino
            all'ultimo, un grande fanciullo, l'Andersen che improvvisava una novella con un solino e un ferro da
            stirare, ben lo sapeva; e ben lo sapeva il suo glorioso amico Thorvaldsen. Un giorno, nell'estate del
            1846, i due amici si trovavano insieme a Nysoe, ospiti del Barone Stampe; ed il grande scultore,
            entusiasta dell'Anitroccolo e dei  Promessi Sposi, che l'Andersen gli aveva letti allora allora,
            esclamò: «Scommetto che saresti capace d'imbastirci una fiaba anche con un ago da stuoie!» E così
            nacque la storia di quel vanitosissimo ago da stuoie, «che per poco non si credeva un ago da
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            cucire» .
                   Apro un volume delle novelle e prendo a caso un esempio:
                   «Babbo, mamma, fratelli, sorelle, tutti sono andati a teatro: non è rimasta a casa che la
            Mimma col suo vecchio padrino.
                   «Anche noi ci faremo la nostra brava commedia!» — dice il padrino: «E tant'è, si può
            cominciare anche subito.»
                   «Ma non abbiamo teatro,» — dice la Mimma:  «e dove vuoi trovare i personaggi? La
            bambola vecchia no, perchè è troppo brutta; la nuova, nemmeno, perchè non voglio sgualcirle il
            vestito...»
                   «I personaggi si trovan sempre, quando si prende quello che si ha!»  risponde il padrino. «In
            tanto, fabbrichiamo il teatro. Poniamo qui un libro, e qui un altro, e qui un altro: tutti ritti per bene,
            ma messi un po' in tralice; e poi tre da quest'altra parte... ed ecco fatte le quinte. Questa scatola
            serve benone per lo sfondo; così, col coperchio rialzato. La scena, si vede subito, rappresenta un
            salotto. Ora cerchiamo i personaggi. Vediamo un po' che c'è in questo cassetto. Prima troviamo i
            personaggi, e poi faremo i versi della commedia, uno più bello dell'altro. Sentirai, sentirai! Ecco in
            tanto una pipa di schiuma con una bella testa di vecchio; e qui c'è una scarpina scompagnata della
            Mimma: possono essere benissimo babbo e figliuola.»
                   «E due personaggi, in tanto!» — esclama la Mimma tutta contenta. «E qui c'è il panciotto


                   (2)  A. FRANCE, Le livre de mon ami; Paris, Calmann Levy, pagg. 266-268: La bibliothèque de Suzanne.
                   (3)  Vedi novella XI.

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