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40 Novelle Hans Christian Andersen
H. C. ANDERSEN
I.
C'era una volta, in un ospedale di questo mondo, un povero bambino senza mamma, malato
da lungo tempo. È già tanto triste che i bambini sieno malati; ma all'ospedale poi, e senza la
mamma...
Un giorno, passò dalla corsìa una donna vestita di nero — era una mamma senza figliuoli —
e vide il bambino, a sedere sul letto, che giocava con certi soldatini ritagliati da un foglio, un po'
sgualciti. Si fermò, e siccome sapeva giocare, aiutò il piccino, e fecero subito amicizia. Anzi,
quando sentì che al minuscolo esercito mancavano i tamburini, promise di portarli la prossima
volta.
Ai bambini bisogna sempre mantenere le promesse, come ai grandi; e tanto più se sono
malati. La donna tornò dunque con un foglio di soldati, dove gli ultimi tre di ogni fila erano
tamburini; e portò anche una forbice, per ritagliarli subito. Così il bambino senza mamma e la
mamma senza bambino divennero anche più amici del primo giorno.
Oramai, ogni volta che la donna andava all'ospedale, si fermava a lungo presso il letto del
bambino: rifornivano insieme l'esercito di carta, se le guerre ne avevano diradate le file, e insieme
ragionavano di battaglie, di artiglierie, di uniformi, e di quei grandi cartoni che si trovano a vendere
in certi negozii di balocchi, con fucile, sciabola, giberna e cheppì grandi quasi quanto i veri... Ma
son cose che costano; e un malatino, a letto, che se ne farebbe? Tante volte, però, fa piacere parlar
di balocchi, anche se non sono nostri, perchè le cose belle son sempre belle, ed è bene che ci sieno,
al mondo, e che qualcuno almeno ne goda.
Una domenica, la donna trovò il bambino disteso, quieto quieto, sotto le coperte. Gli
avevano fatto l'operazione, e non poteva muoversi: si sentiva come stanco, ma non aveva tanti
dolori, diceva.
«E i tuoi soldati?» — domandò la donna, tanto per dir qualche cosa: «Avranno fatto la pace,
in tanto...»
«Oh, no!» — rispose il bambino: «Le battaglie, ora, le penso.»
«È vero; anche pensando si può giocare!» — disse la donna; e allora, per aiutare il suo
piccolo amico, cercò di farsi tornare alla mente, tutta per filo e per segno, la novella dell'intrepido
soldatino di stagno che aveva letta, una volta, in un libro.
Il malatino ascoltava avidamente, e gli occhioni intenti parevano farsi più grandi nel piccolo
viso patito.
«Ne sai altre?» domandò, appena la raccontatrice ebbe finito, senza dire nemmeno una
parola sulla prima novella.
La donna cercò nella memoria.
«So quella di Pollicina,» — disse, — «ma non sono sicura di ricordarla bene. E poi, è
meglio una per volta: se no, ti stanchi. La prossima volta porterò il libro.»
La prossima volta portò un libro, ma non quello di Pollicina, perchè Pollicina in italiano non
c'era. Il bambino, del resto, era troppo piccino per divertirsi a sentir leggere: voleva sentir parlare,
sentir raccontare per sè solo, nel dialetto cui era abituato; e la donna pure preferiva raccontare,
perchè aveva bisogno di vedere nei grandi occhi lucenti se il bambino seguiva il filo della novella, e
se non si stancava, e se non gli tornavano i dolori...
Così, dunque, raccontò; raccontò ogni domenica ed ogni mercoledì, per tanti tanti tanti mesi.
Quand'ebbe dato fondo alle solite raccolte, prese le novelle un po' da per tutto, sin dai Libri Santi e
dai grandi poemi antichi dell'India e della Grecia. Il piccolo malato non ne aveva mai abbastanza.
Sentì, ad una ad una, tutte le novelle di questo volume, e molte altre ancora (l'Andersen ne scrisse
centocinquantasei); ma queste gli piacevano più di tutte, diceva, «perchè sono un po' melanconiche
e un po' allegre, come il sole quando entra qua dentro, nella corsìa.»
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