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40 Novelle                                                              Hans Christian Andersen




                                                      L'ANGELO


                   Ogni volta che muore un bambino buono, un Angelo del Signore scende sulla terra, prende
            tra le braccia il piccolo morto, spiega le grandi ali bianche, vola su tutti i luoghi che al bambino
            furono più cari, coglie un fascio di fiori, e li porta su al Signore, perchè li faccia fiorire ancora, più
            belli che sulla terra. Il Signore si stringe al cuore tutti quei fiori, ma al fiore che gli piace di più, dà
            un bacio; ed allora il fiore acquista voce, e gli è concesso di unirsi al coro della eterna Beatitudine.
                   Tutto questo, vedi, lo andava raccontando un Angelo, mentre appunto portava in cielo un
            bambino morto; ed il bambino ascoltava come  in sogno. Spaziavano sopra ai cari luoghi della
            patria, dove il bambino era nato ed aveva tanto giocato, e a traverso a certi gradini, pieni di
            bellissimi fiori.
                   «Quali prenderemo con noi, per trapiantarli nel cielo?» — domandò l'Angelo.
                   C'era là uno snello magnifico rosaio, ma una mano malvagia ne aveva spezzato il fusto, sì
            che i rami, carichi di grossi bocci semiaperti, pendevano a terra avvizziti.
                   «Povero rosaio!» — disse il bambino: «Prendilo, perchè possa giungere a fioritura vicino al
            Signore!»
                   E l'Angelo lo prese, e non potè fare a meno di baciare il bambino, sì che questi aperse quasi
            gli occhi. Poi colsero alcuni magnifici fiori rari, senza però trascurare lo spregiato dente di leone e
            l'umile caprifoglio.
                   «Ora sì, che ne abbiamo tanti, dei fiori!» disse il bimbo, tutto contento; e l'Angelo accennò
            di sì col capo, ma non volarono ancora su, verso Dio. Era notte e tutto taceva: senza uscire dalla
            grande città, arrivarono ad uno  dei vicoli più stretti dov'erano sparsi a terra mucchi di paglia,
            spazzature, cenere, immondezze d'ogni sorta. Era stata giornata di sgomberi; e per ciò si scorgevano
            qua e là piatti rotti, figure di gesso spezzate, frantumi, fogli, cenci, cappelli vecchi — e facevan
            tutt'altro che un bel vedere.
                   Tra mezzo a quelle spazzature, l'Angelo additò al bambino i cocci d'un vecchio vaso da fiori
            e una piota di terra, caduta fuori dal vaso e tenuta insieme dalle radici d'una piantina secca, sulla
            quale si vedeva ancora un grosso fiore di campo. Non serviva più a niente, e per ciò era stata gettata
            sulla via.
                   «Prenderemo quella pianta lì!» — disse l'Angelo: «Volando, ti racconterò poi perchè.»
                   E volando, l'Angelo raccontò questo:
                   «Laggiù, in quello stretto vicolo, in una delle più basse stamberghe, abitava un povero
            ragazzo ammalato. Da piccino in su, era sempre stato infermo. Quando si sentiva meglio, riusciva
            appena a reggersi sulle grucce, in modo da andare su e giù un paio di volte nella misera stanzetta:
            era tutto quel che poteva fare. Durante pochi giorni d'estate i raggi del sole arrivavano per una
            mezz'oretta sino ai suo bugigattolo. Allora il povero ragazzo stava lì seduto a godersi il calore del
            sole, ed a guardarsi, a traverso le scarne manine che teneva stese davanti al viso, il sangue rosso che
            circolava. In quei giorni si diceva «Oh, oggi il piccino è stato fuori!» La foresta, nella sua splendida
            verzura primaverile, egli la conosceva soltanto perchè il figlio di un  vicino, quando la quercia
            metteva le fronde nuove, gliene portava i primi ramoscelli. Ed egli teneva un ramoscello sul capo, e
            sognava di riposare sotto una quercia, tra lo splendore del sole e il canto degli uccelli. Un giorno di
            primavera, il ragazzo del vicino gli portò anche un fascio di fiori di campo, tra i quali, per caso, ce
            n'era uno con le radici. E questo fu piantato in un vaso, e posto sulla finestra, presso al suo lettino.
            Si vede che il fiore era stato piantato da una mano fortunata, perchè attaccò, buttò nuovi germogli e
            ogni anno mise i suoi bocci. La pianticella rappresentava per il piccolo malato il più bel giardino;
            era tutto il suo tesoro su questa terra. Egli l'annaffiava, ne aveva ogni cura e badava che godesse
            sino all'ultimo quei pochi raggi di sole che arrivavano al basso finestrino. Il fiore cresceva persino
            nei sogni del bambino, perchè cresceva per lui solo, per  lui solo spandeva il tenue profumo ed
            allietava la vista. Ed al fiore volse egli il viso al momento della morte, quando il Signore lo chiamò.
            — Ora, è un anno ch'egli è vicino al Signore, ed un anno rimase il fiore sul davanzale della finestra,

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