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40 Novelle                                                              Hans Christian Andersen

                   «Croak!» — fece il Corvo; e volò via a portare gli inviti.
                   Le figlie del Re degli Elfi stavano già danzando sul Monte, servendosi con molta eleganza
            delle loro sciarpe tessute di rugiada e di raggi di luna, in una danza che ai buongustai del genere
            sarà sembrata certo molto aggraziata. Nel mezzo del Monte, l'atrio grande era splendidamente
            decorato: il pavimento era stato lavato col lume di luna e le pareti, strofinate col grasso di strega,
            rilucevano in quel chiarore come petali di tulipano. In cucina, c'era d'ogni ben del diavolo: —
            grande quantità di ranocchini allo spiedo, e polpette di pelle di lumaca col ripieno di denti di vipera;
            e insalata di semi di fungo, lingue di topo e cicuta; e birra fabbricata dalla strega del pantano, e
            scintillante vin di salnitro, cavato dalle cantine delle tombe. In somma, grande scialo: e tra i dolci,
            c'erano persino chiodi arrugginiti e frantumi d'invetriate di cattedrale.
                   Il vecchio Re degli Elfi aveva fatto lustrare una delle sue corone d'oro con polvere di tripolo,
            ma proprio di prima qualità, che gli era costata un occhio della testa. Nelle camere da letto, avevan
            messe su le tende nuove, assicurandole con corna di chiocciolini. Sì, non avevano torto le lucertole:
            c'era da per tutto un brusìo, un andirivieni da non si dire.
                   «Ora bisognerà bruciare crini di cavallo e setole di maiale, a guisa d'incenso,» — disse il Re
            degli Elfi: «E poi, non fo per dire, ma credo di aver fatto per gli ospiti tutto quel che potevo!»
                   «Babbo, babbino!» — pregò la più giovane delle sue figliuole: «Si può finalmente sapere,
            ora, chi sieno questi forestieri di tanto riguardo?»
                   «Ma!» — rispose il babbo Re: «Oramai, penso che sia venuto il momento di dirvelo. Due di
            voi debbono prepararsi alle nozze: perchè due, già, andrete certamente a marito. Il vecchio Gnomo
            di Norvegia, colui che vive nell'antica scogliera di Dovre, e possiede tanti castelli di rupi e di
            macigni, ed una miniera d'oro che vale assai più di quanto si creda, — viene quaggiù con i suoi due
            figliuoli, i quali cercano moglie. Il vecchio Gnomo è un vero gnomo d'onore, tutto d'un pezzo,
            proprio il tipo del vecchio nordico, allegro, semplice e leale. Lo conosco da anni ed anni, sin da
            quando, nella nostra giovinezza, bevemmo insieme  e ci giurammo amicizia. E venne appunto
            quaggiù a prender moglie; — ora, essa è morta: era figlia del Re delle Rupi di Möen. Può proprio
            dire d'essersi formato una famiglia nella creta, perchè la creta è l'unica cosa di cui ci sia abbondanza
            nell'isola di Möen. Oh, non mi par vero di rivederlo, quel caro vecchio Gnomo norvegese! I due
            giovanotti, dicono, sono un po' rozzi, un po' turbolenti; ma forse son calunnie, e poi con gli anni
            diverranno posati abbastanza. E voi, intanto, fatemi vedere che  sapete insegnar loro le belle
            maniere.»
                   «E quando verranno?» — domandarono le figliuole.
                   «Oh, questo poi dipende dal tempo e dal vento!» — disse il Re degli Elfi. «Viaggiano
            economicamente: verranno quando troveranno la buona occasione di una nave che salpi per queste
            parti. Io li aveva consigliati a traversare la  Svezia, ma il vecchio non ne volle sapere. Non
            progredisce punto coi tempi, e questo, a dir vero, non mi piace.»
                   In quella, i fuochi fatui giunsero saltellando, uno più veloce dell'altro; e così, per forza, il più
            veloce di tutti arrivò primo.
                   «Vengono! vengono!» — gridarono.
                   «Dammi la mia corona! Largo! Lasciami mettere al chiaro di luna!» — disse il Re degli Elfi.
                   Le figliuole levarono alte le belle sciarpe lucenti e s'inchinarono sino a terra.
                   Ed ecco il vecchio Gnomo di Dovre, con in capo la corona di ghiacciuoli alternati con pine
            di abete ben lucidate, con la pelle d'orso bianco a guisa di manto, e gli stivaloni da padule. I due
            figliuoli, in vece, avevano il collo e le gambe nude e il vestito alla scozzese, perchè erano due pezzi
            d'uomini, robusti e vigorosi.
                   «È un Monte questo?» — domandò il più giovane dei due, e additò il Monte degli Elfi: «Da
            noi in Norvegia, lo si chiamerebbe una buca!»
                   «Giovanotto!» — fece il vecchio Gnomo: «Le buche rientrano e i monti sporgono: non hai
            occhi in testa?»
                   L'unica cosa che li facesse stupire, dissero, era l'intendere così facilmente la lingua del

            un senso di tenerezza indulgente per le vecchie fole del suo paese.
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