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40 Novelle                                                              Hans Christian Andersen




                                               PENNA E CALAMAIO


                   C'era una volta un Calamaio sopra un tavolino, nella cameretta d'un Poeta; e qualcuno,
            guardandolo, disse un giorno: «Fa  meraviglia pensare a tutto quello che può venir fuori da un
            calamaio. Chi sa che ne uscirà ora? Davvero ch'è meraviglioso!»
                   «Sì, certo!» disse il Calamaio: «Pare impossibile: lo dico sempre anch'io!» — e si rivolse
            alla Penna ed agli altri oggetti  che stavano sopra al tavolino, abbastanza vicini per udirlo: «È
            meraviglioso pensare che infinità di cose vengano fuori da me: pare proprio incredibile. E dire ch'io
            stesso non so che cosa uscirà tra poco, quando l'uomo ricomincerà ad attingere da me! Una mia
            gocciola sola basta per mezza pagina di carta: e che cosa non può stare in mezza pagina? Sono
            davvero straordinario! Da me procedono tutte le opere del Poeta, tutte quelle creature vive, che la
            gente si figura di avere incontrate per davvero, tutti i più profondi sentimenti, e tutto l'umorismo, e
            tutte le smaglianti pitture della natura. Io stesso non so capire come sia, perchè di queste cose non
            m'intendo punto; ma tutto vive dentro di me. Da me uscirono ed escono in frotta le vaghe fanciulle,
            i prodi cavalieri sui focosi destrieri, e tutte le sirenette e gli elfi e gli anitroccoli e gli usignuoli e le
            rose, e non so che altro ancora. E pure, vi assicuro, io non ne so nulla e nemmeno ci penso.»
                   «Qui, tu l'hai detta giusta!»  esclamò la Penna: «Tu non pensi niente affatto; perchè se tu
            pensassi, comprenderesti che non fai altro se non fornirmi la fluidità. Tu fornisci il mezzo perchè io
            possa mostrare sulla carta quello che ho dentro, e quello che voglio mettere in luce: ma la penna
            scrive. Di questo nessun uomo dubita; e in  verità che molti uomini non  hanno più intelletto di
            poesia d'un vecchio calamaio!»
                   «Tu hai poca esperienza ancora!» — rispose il Calamaio: «Sei in servizio appena da una
            settimana, e sei già logora. T'immagini forse d'essere tu il Poeta? Non sei che una serva; e prima che
            venissi tu, ne ho conosciute molte della tua condizione, alcune della famiglia delle oche ed altre
            venute da una fabbrica d'Inghilterra. Conosco la penna d'oca e quella d'acciaio. Ne ho avute molte al
            mio servizio e molte altre ancora ne avrò, quando verrà l'uomo che si affatica tanto per me e scrive
            tutto quello che da me deriva. Mi basterebbe sapere che cosa trarrà fuori da me la prossima volta!»
                   «Pentolo da inchiostro!» — schizzò la Penna stizzita.
                   La sera, tardi, il Poeta ritornò a casa. Era stato ad un concerto, dove aveva udito un violinista
            famoso, ed era entusiasta di quella mirabile esecuzione. L'artista aveva cavato una meravigliosa
            ricchezza di suoni dallo strumento: tal volta, sembravano gocciole d'acqua cadente, perle sgranate in
            bacili d'argento, o canti d'augelli gorgheggianti in coro; tal altra, in vece, i suoni parevano gonfiarsi
            come la raffica del vento tra gli abeti. Al Poeta sembrava di sentire il pianto del suo proprio cuore,
            ma un pianto melodioso, come un canto dolcissimo di donna. Non solo le corde, ma le fibre tutte
            dello strumento sembravano animarsi. Ah, che stupenda esecuzione! E sebbene il pezzo fosse
            difficilissimo, l'arco scivolava naturalmente, quasi per gioco, sulle corde; si sarebbe detto che
            chiunque potesse fare altrettanto. Il violino sembrava sonare  da sè, e spontaneamente pareva
            muoversi l'arco: pareva facessero tutto tra loro due; e l'uditorio dimenticava il maestro che li
            guidava, infondendo loro anima e spirito. Il maestro era quasi dimenticato; ma egli, il Poeta, lo
            ricordò e ne scrisse il nome, e diede forma ai pensieri che gli aveva inspirati.
                   «Che sciocchi sarebbero violino e archetto, se menassero vanto dell'opera loro! E pure noi,
            uomini, commettiamo sovente simile follia: poeta, artista, scienziato, generale — tutti noi facciamo
            altrettanto, vantando l'opera nostra, mentre non siamo se non gli strumenti di cui l'Onnipotente si
            serve. A Lui solo sia gloria! Noi di nulla possiamo andar superbi!»
                   Sì, questo scrisse il Poeta; lo scrisse in forma di parabola, ed intitolò la parabola: «Il Maestro
            e gli Strumenti.»
                   «Questa viene a te, caro!» — disse la Penna al Calamaio, quando rimasero soli di nuovo.
            «Gli hai sentito legger forte quello che io ho scritto?»
                   «Sì, quello che io t'ho dato da scrivere!» — ribattè il Calamaio: «Una buona allusione per te,
            per la tua presunzione. Che tu non abbia nemmeno a capire che ti si mette in canzonella! E pure

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