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40 Novelle                                                              Hans Christian Andersen




                                                 L'ULTIMA PERLA


                   Era una casa ricca, una casa felice. Tutti, padroni e domestici e amici di casa, erano contenti
            ed allegri. Quel giorno, un erede era nato —  un figlio maschio; e mamma e bambino stavano
            benone.
                   La lampada, nella bella camera da letto, era velata a mezzo; pesanti tende di seta preziosa
            pendevano alle finestre, chiuse accuratamente; il tappeto era folto e morbido come il musco: tutto
            invitava al sonno, al riposo che ristora le forze. Nemmeno l'infermiera aveva saputo resistere
            all'invito, e infatti s'era addormentata: niente di male, del resto, poi che tutto andava per il meglio, e
            tutto era contentezza.
                   Lo Spirito ch'era a guardia della casa stava a capo del letto: sopra il bambino, che riposava
            sul petto della mamma, era stesa come una rete di stelle scintillanti, — una magnificenza: ciascuna
            era una perla della felicità. Tutte le buone fate della vita avevano portato il loro dono al neonato; qui
            brillava la salute, lì la gioia, la ricchezza, l'amore; tutto, in somma, quel che di meglio possono
            desiderare gli uomini sulla terra.
                   «Tutto fu portato e regalato al piccino!» — disse lo Spirito della casa.
                   «No!» — esclamò improvvisamente una voce, vicina vicina: era la voce del buon Angelo
            Custode del bambino: «Una Fata ancora non ha portato il suo dono; ma lo porta, lo porta di certo; se
            non subito, di qui a qualche anno. L'ultima perla manca ancora!»
                   «Manca? Qui nulla deve mancare! E se è così, andiamo a cercarla, la Fata possente: andiamo
            da lei!»
                   «Oh, viene, viene di certo!  Non dubitare: la sua perla non manca mai per compire la
            corona.»
                   «Dove abita essa? Qual'è la sua patria? Dimmelo, ed io andrò a prendere la perla!»
                   «Lo vuoi proprio?» — disse il buon Angelo del bambino: «Ti condurrò a lei, in qualunque
            luogo possa essere. Non ha posto fisso: va nel castello dell'Imperatore come nella capanna del più
            misero contadino, e non passa accanto ad alcun uomo mai, senza lasciargli un ricordo; a tutti porta
            il suo dono, che può esser tal volta un mondo, tal volta un balocco! Anche a questo bimbo verrà,
            prima o poi, la Fata possente. Ma andiamo pure, andiamo a prendere la perla, l'ultima perla che
            manca al tesoro.»
                   Si presero per mano, e volarono insieme verso il luogo ch'era per il momento ricetto della
            Fata.
                   Era una grande casa, tutta corridoi oscuri e stanze vuote, molto silenziosa; una fila di finestre
            era aperta, sì che l'aria fredda vi penetrava movendo le lunghe tende candide, ch'erano tutte
            abbassate.
                   Nel mezzo di una stanza stava una bara scoperchiata; e nella bara riposava il cadavere di una
            signora ancor giovane; era coperta delle più belle rose fresche, così che non si vedevano se non le
            sottili mani congiunte ed il nobile viso, illuminato dalla morte con l'alta pacata serenità della
            rassegnazione in Dio.
                   Vicino alla cassa, stavano il marito ed i figliuoli, un branco di figliuoli, (il più piccino era in
            collo al babbo,) e tutti davano alla mamma l'ultimo saluto. L'uomo le baciò la mano, la mano cara,
            che ora sembrava una foglia appassita, e prima s'era tanto affaccendata, tanto affaticata per tutti
            loro, piena di energia e di tenerezza. Grosse lacrime, amare amare, cadevano in larghe gocciole a
            terra; ma nessuno disse una parola. Il profondo silenzio all'intorno racchiudeva in sè un mondo di
            dolore. In silenzio, soffocando i singhiozzi, si allontanarono.
                   C'era lì una candela accesa; la fiamma si agitava, mossa dall'aria; nessuno ne smoccolava il
            lungo stoppino fumoso. Entrò certa  gente di fuori: misero il coperchio sopra la morta, e vi
            picchiarono i chiodi; i colpi di martello risuonarono nella stanza e per i lunghi corridoi, e
            penetrarono dolorosamente in quei poveri cuori sanguinanti.
                   «Dove mi meni?» — domandò lo Spirito della casa fortunata: «Qui non ci stanno Fate, che

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