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L’incredibile caso di monsignor Scarano

          Nel marzo del 2013, ancora prima che il nuovo pontefice venisse eletto, le procure di
          Salerno e di Roma avevano avviato un’indagine sulle attività finanziarie di monsignor
          Nunzio Scarano, capo contabilità della sezione straordinaria dell’Apsa. Per l’accusa, le

          prove raccolte e diverse intercettazioni – in corso anche nei giorni tesi e frenetici delle
          dimissioni di Benedetto XVI e di preparazione del conclave – fanno emergere casi di
          riciclaggio  e  tentativi  di  far  rientrare  illegittimamente  ingenti  capitali  dall’estero.  In

          pratica, sempre secondo l’accusa, Scarano avrebbe messo a disposizione un semplice
          sistema di «pulizia» del denaro attraverso il suo conto allo Ior: offriva assegni circolari
          per centinaia di migliaia di euro in cambio di valigette zeppe di banconote da 500 euro.
          Per questo era soprannominato «monsignor 500».
            Salernitano, Scarano lavorava in banca prima di diventare sacerdote, a ventisei anni.

          Amante  del  lusso,  ha  sempre  frequentato  con  passione  il  jet  set  del  cinema  e  della
          televisione,  diventando  anche  amico  di  showgirl  molto  conosciute  in  Italia,  come
          Michelle Hunziker. Ma la sua vera passione sono sempre state le proprietà immobiliari

          e  il  denaro. A  Salerno  compra  e  ristruttura  una  casa  da  700  metri  quadrati  e  fonda
          numerose  società  immobiliari.  A  Roma,  invece,  vive  in  un  appartamento  proprio
          dell’Apsa: 110 metri quadrati, in via di Sant’Agostino, nel cuore del centro storico, a
          pochi isolati da piazza Navona e dal Senato. Diversamente dagli altri illustri porporati
          ultraottantenni  che  abitano  residenze  principesche,  a  Scarano  tocca  pure  pagare

          l’affitto:  740  euro  al  mese.  Case  simili  alla  sua,  nella  stessa  zona,  chiedono  pigioni
          anche tre volte maggiori.
            Subito  dopo  l’elezione  di  Francesco,  in  curia  e  a  Santa  Marta  si  rincorrono

          indiscrezioni  sempre  più  inquietanti  sulle  indagini  che  coinvolgono  il  monsignore.  Il
          papa, appena nominato, capisce che deve muoversi con la massima cautela. Solo il 29
          maggio, dopo la deposizione di don Luigi Noli, storico amico di Scarano, la situazione
          precipita.  Noli  ha  confermato  l’utilizzo  indiscriminato  dei  propri  conti  da  parte  di
          Scarano. Gli inquirenti ritengono chiuso il cerchio. E si fa sempre più concreta l’ipotesi

          che  il  prelato  venga  arrestato.  Prima,  però,  i  magistrati  italiani  devono  chiedere
          l’autorizzazione all’autorità vaticana. Il contabile dell’Apsa, infatti, dipendendo da un
          ente  centrale  della  Santa  sede,  gode  di  una  sorta  di  immunità  garantita  dai  Patti

          Lateranensi, gli accordi di reciproco riconoscimento tra  Italia e  Vaticano firmati nel
          1929 dal cardinale segretario di Stato, Pietro Gasparri, e dal primo ministro, Benito
          Mussolini. Con discrezione gli inquirenti compiono i loro passi seguendo i principali
          canali diplomatici, e formalizzano la richiesta di arresto.
            È una mossa che pone il papa di fronte a un drammatico bivio. Francesco, infatti, si

          trova nella stessa situazione che visse Wojtyla nel lontano 1987, quando la magistratura
          milanese si vide bocciare dalla Corte suprema di cassazione i mandati di cattura per
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