Page 79 - Peccato originale
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collaboratore, il cardinale Jean-Marie Villot, per
annunciargli che lo avrebbe rimosso dall’incarico. Stessa
sorte sarebbe toccata presto a Marcinkus e ai suoi più
stretti collaboratori: il segretario generale della banca,
monsignor Donato de Bonis, e Luigi Mennini, l’uomo della
ragnatela finanziaria.
Giovanni Paolo I immaginava una Chiesa trasparente
rivolta ai poveri, voleva rompere con quel blocco di potere
cresciuto e consolidatosi allo Ior, vantando saldature con
Gelli e la P2, Calvi e chissà quali altri mondi criminali
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sommersi. Voleva sbarrare il passo a quel sistema, che
forse aveva aiutato Paolo VI a rilanciare le finanze
vaticane ma con metodi non condivisibili e denari
impresentabili. In questo suo proposito papa Luciani sarà
sconsigliato da più cardinali: chi per interesse, chi per
evitare lo scandalo, chi ancora suggerendo solo qualche
modesto cambiamento di facciata, all’insegna dell’antico
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proverbio latino Promoveatur ut amoveatur. Lui non
ascolterà nessuno. Nemmeno i miti consigli del cardinale
Villot, che lo esortava a una soluzione diplomatica delle
divergenze. Il papa voleva portare avanti questo progetto,
che avrebbe provocato un terremoto in curia e fatto saltare
i tanti e spregiudicati affari che il trio Sindona-Calvi-
Marcinkus stavano portando avanti. E fin dai primi giorni
di pontificato andrà in rotta di collisione con quel mondo.
Ma non conosceva la ramificazione e la forza del potere
che questo monolite esprimeva. Così comincia una
spietata e martellante pressione contro il papa,
evidentemente per ridurne anche l’autostima, facendolo
sentire inadeguato al ruolo e portandolo all’isolamento. In
quest’ottica è eloquente la ruvida descrizione che
Marcinkus fa del nuovo pontefice:
Questo pover’uomo viene via da Venezia, una piccola diocesi che sta
invecchiando, con 90.000 persone e preti anziani. Poi, all’improvviso,
viene catapultato in un posto e nemmeno sa dove siano gli uffici. Non
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