Page 121 - Peccato originale
P. 121
di Stato. Il presidente doveva muoversi su due fronti: in
primo luogo allontanare i dirigenti collusi o compiacenti,
poi individuare e bloccare tutti i conti correnti utilizzati
per operazioni poco chiare, o intestati a persone ritenute
non cristalline. Dopo aver scoperto il traffico di tangenti
anche sotto la sua presidenza, Caloia non si fida di
nessuno. L’11 aprile 1993 riesce ad allontanare De Bonis,
che viene nominato prelato dell’ordine di Malta e
provvisto di un accogliente ufficio nella centralissima via
Condotti a Roma. Ma sarà solo una vittoria a metà la sua:
De Bonis infatti continua a esercitare pressioni e influenze
su alcuni funzionari e dirigenti della banca, per proteggere
i suoi affari e interessi. Caloia non aveva quasi più fiducia
in Giovanni Bodio, direttore generale dopo Mennini, e
diffidava dei cinque capiufficio dell’istituto di credito:
monsignor Carmine Recchia, il commendator Lelio
Scaletti, Pier Giorgio Tartaglia, Paolo Scarabelli e Mario
Clapis. Cercava comunque di gratificarli, concedendo loro
ogni anno dei bonus (dai 20 milioni di vecchie lire a
Bodio, ai 5 che incassava monsignor Recchia, come risulta
dai fogli di cassa riservati consultati per questo libro), ma
il clima all’interno rimaneva ostile. Caloia si rivolge a
Sodano per sollecitare un ricambio dei dirigenti. Per
esempio monsignor Carmine Recchia, rimasto in seconda
fila durante gli anni di Marcinkus, nel ruolo defilato di
11
responsabile dell’archivio della banca. Caloia chiederà la
sua rimozione: «La sua esperienza si è sempre tradotta in
termini di copertura nei confronti dell’attività dell’ex
prelato [De Bonis, nda]» scrive al segretario di Stato. «La
sua fuoriuscita consentirebbe maggior trasparenza di
operatività ed eliminerebbe il consolidarsi di non
trascurabili connivenze e condizionamenti interni.» 12
Poco dopo Sodano ne dispone il trasferimento.
Ciò che invece a oggi ancora non si conosceva, e che
questo libro può raccontare, è l’azione sul secondo fronte
124