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                             ALBERTO, L’UNICO


                             SOPRAVVISSUTO






          Pier era un ragazzo di buona famiglia, benestante e ben educato, ma non aveva

          voglia di studiare, passava il tempo con i cani di casa e aveva cominciato ad
          allevare Rottweiler e Jack Russel Terrier. Così il padre ebbe l’idea di finanziare per
          lui un’attività commerciale un po’ particolare: un asilo per cani, dove gli animali
          delle persone che lavoravano tutto il giorno, potevano trascorre la giornata tra
          giochi, coccole e leccornie. Il furgone usciva di buon’ora e arrivava all’asilo
          giornaliero pieno del suo carico allegro e giocoso; lo spazio non era enorme, ma

          tutti, piccoli e grandi, trovavano la loro dimensione sotto il controllo esperto di Pier
          che governava quel mondo di “amori altrui”.
              L’azienda andava bene, il lavoro non mancava, anche se bisognava fare i conti
          con l’inciviltà della gente: a volte si trovava qualche cane abbandonato legato al
          cancello. E una mattina di una bella giornata di primavera, successe l’incredibile:
          oltre l’ingresso qualche “maledetto” aveva lasciato una scatola con una cucciolata di

          gatti. I cani scesero festosi, chi per andare a bere, chi per marcare subito il territorio,
          chi per cominciare a giocare: in un istante, però, si accorsero della scatola, si sentì
          guaire, abbaiare, ringhiare, volò qualche morso per litigarsi quelle prede inaspettate,
          finché l’urlo di Pier non li fece tutti indietreggiare con la coda fra le gambe.
              Quello che vide fu tremendo, dei tre piccoli gatti due erano già morti e il terzo
          era completamente insanguinato ma vivo. Pier lo raccolse con una mano e se lo portò
          al petto, si chiuse nell’ufficio, depose il piccolo gatto nel lavandino del bagno e con

          un po’ di acqua tiepida lo lavò dal sangue: fortunatamente erano morsi superficiali,
          non sembrava in pericolo di vita, era un piccolo maschio color crema, tremava per il
          freddo e per la paura. Così lo avvolse in una sciarpa di lana e se lo infilò nel
          giubbotto. Più tardi venne il veterinario per fare alcuni vaccini, Pier gli fece vedere
          il gattino e lo pregò di prenderselo perché lui non poteva certamente tenerlo in mezzo
          ai cani. Il giovane medico, che spesso riceveva richieste simili, con ferma gentilezza

          rispose che non poteva aiutarlo e se ne andò.
              Che vita poteva fare un gatto in un asilo per cani? Con questo pensiero fisso, Pier
          trascorse la giornata lavorando e quando venne sera mise tutti i cani sul furgone per
          riportarli nelle loro rispettive case. Chiuse il gattino nell’ufficio, rinviando la
          soluzione del problema al giorno dopo. Nelle settimane seguenti cercò una casa per
          il suo gatto, ma fu tutto inutile. Erano trascorsi due mesi e l’estate si avvicinava. Il
          gattino biondo cresceva nella casetta-ufficio, ogni tanto guardava fuori dall’unica

          piccola finestra e appena vedeva i cani correva a ripararsi sotto la scrivania. Una
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