Page 142 - 101 storie di gatti
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                             IL GATTO DEI PESCHERECCI





                             Viveva dentro una mansarda in centro. Non faceva una bella vita,

          era di un uomo che lo trattava con indifferenza; se miagolava per segnalare qualche
          necessità lo faceva uscire di forza nel piccolo terrazzo della cucina, dove teneva la

          spazzatura e tutto l’occorrente per tenere pulita la casa.
              Con il caldo dell’estate e con il freddo di gennaio il grosso gatto rosso striato di
          nome Camillo doveva sopportare l’ingiusta punizione.
              Il proprietario di casa si assentava spesso per lavoro e Camillo rimaneva chiuso
          nella piccola mansarda con i suoi croccantini vecchi di qualche giorno.
              La convivenza era infernale, l’unico momento di svago era guardare dal terrazzo
          le macchine che passavano lì sotto. Quando dovette separarsi da lui, Camillo
          scoppiò di gioia.

              L’uomo doveva trasferirsi per un po’ all’estero, così portò il suo gatto al porto di
          Fiumicino. Un suo amico pescatore aveva espresso più volte il desiderio di
          possedere un gatto rosso, lui gli presentò Camillo, e gli disse che sarebbe tornato a
          riprenderselo dopo qualche tempo. Il vecchio marinaio accettò e posò il trasportino
          sulla coperta del peschereccio: il pescatore guardò con attenzione il gatto, prese una

          triglia, la fece passare tra le barrette della gabbia e il micio la mangiò voracemente.
          Per tutta la notte Camillo dormì dentro la tuga dopo aver annusato ogni anfratto e
          godendo per il piacere di aver scoperto improvvisamente sensazioni meravigliose.
              Si abituò con rapidità alla nuova vita. Gli piaceva molto e desiderava con tutto il
          cuore che l’uomo della mansarda non tornasse più. In poco tempo divenne amico di
          tutti, andava su e giù per la banchina, saltava e risaltava tra una paranza e un’altra,
          saliva in ogni peschereccio e accettava volentieri i piccoli doni dei pescatori.

              Il porto di Fiumicino era la sua nuova casa, la dimora abituale si era trasformata
          in peschereccio e il piccolo terrazzino della mansarda era diventato la prua
          dell’imbarcazione, da dove poteva vedere e sentire tutto ciò che accadeva, avvolto
          da eccitanti profumi.
              Aveva finalmente trovato la sua dimensione e si era affezionato a Pompilio, il
          pescatore, che lo trattava come un amico vero. Le giornate erano intense: alle tre del

          mattino tutti in piedi, Pompilio avviava il vecchio motore del peschereccio, mollava
          gli ormeggi e Camillo si posizionava sopra la tuga; uno squillo di tromba e
          finalmente si prendeva il largo. Ogni mattina lo stesso rito anche se il mare era
          diverso, la temperatura mutata, il vento fermo o sferzante. Le uniche volte in cui il
          vecchio motore non rombava era quando le onde sommergevano i moli guardiani del
          canale.
              Alle sedici di ogni giorno il rientro, poi l’ormeggio, lo scarico del pescato sulla
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