Page 18 - I dolci napoletani in 300 ricette
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18                                                 la tradizione e la classicità

           ceano. Ma nella società capitalistica un cibo per diventare prodotto si deve
           reificare in merce, altrimenti resta solo una curiosità familiare. Ed è quanto
           avviene con il pasticcere, originario della Polonia, Sthorer che a Luneville
           ha seguito l’esilio del re mangione, trasferendosi poi con sua figlia Maria
           a Versailles quando, nel 1725, quest’ultima sposò Luigi xv. Infine apre un
           proprio laboratorio a rue Montorgueil, esistente ancora oggi al numero 52,
           dove crea i babà a forma di fungo o cappello di cuoco così come sono giunti
           fino a noi. Più tardi, Jean Anthelme Brillat-Savarin regala ai fratelli Julien
           il babà a forma di ciambella nel cui centro immergere la frutta per il loro
           laboratorio sul boulevard St.Honoré: eliminata l’uvetta, aggiunto il burro,
           una spennellata di marmellata di albicocche per salvare la bagna più a lungo
           ed è così che da Ali Babà si passa a Babà.
            Il dolce è simbolo del filo diretto con cui Napoli è sempre stata legata a
           Parigi negli ultimi tre secoli. Un legame nato precisamente quando Maria
           Antonietta sposa Luigi xvi mentre la sorella Maria Carolina si lega a soli
           sedici anni nel 1768 per procura a Ferdinando iv di Borbone. Tra le due fi-
           glie di Francesco, duca di Lorena e imperatore d’Austria, e di Maria Teresa
           d’Asburgo matura una rivalità di cui probabilmente la prima non ha avuto
           modo di accorgersi, mentre la seconda l’ha coltivata nel suo esilio solare
           mandando in continuazione emissari a Parigi per scoprire le ultime tendenze
           dei sarti e degli chef: nasce così l’epopea del gattò, della besciamella, del
           gratin, degli choux e di quei termini francesi e francofoni con cui la cucina
           napoletana conosce l’influenza d’Oltralpe oltre un secolo prima del suo af-
           fermarsi in Italia come nouvelle cuisine. Evidentemente lo stile di una gran-
           de capitale poteva essere riproposto, sia pure non nello stesso modo, solo in
           una grande città, qual è stata Napoli sino all’inizio del ’900. Il resto, viene
           da dire, è storia di oggi: già nel 1836, ci ricorda Flavia Amabile nel suo testo,
           il babà appare come dolce tipico napoletano nel primo manuale di cucina
           italiana scritto da Angeletti per Maria Luigia di Parma. Status symbol, poi
           tradizione, il babà entra nelle case di tutti, segna la pasticceria del Regno
           delle due Sicilie e poi dell’Italia.
            L’ultima moda è il babà al limoncello o alla crema di limone, nato a Capri
           e sull’altra sponda della Terra delle Sirene. Un infuso capace di scalzare ra-
           pidamente il rhum e di aprire così la disputa fra tradizionalisti e innovatori.
           Chissà se a Stanislao sarebbe piaciuto, noi pensiamo che il suo gusto legato
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