Page 16 - I dolci napoletani in 300 ricette
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16 la tradizione e la classicità
ne quotidiana con cui Napoli ha dovuto fare i conti dal ’600, quando era già
metropoli, a tutto il Dopoguerra, sino agli anni 60, quando poi le calorie sono
state sufficienti alla sopravvivenza fisica senza angoscia. Ecco perché «si nu’
babbà» detto ad una persona indica qualcuno dal carattere dolce, disponibile,
oppure bravo nell’eseguire qualcosa di particolarmente difficile, o, ancora,
si può usare per ringraziare di un regalo o di un’attenzione. Ma non solo una
persona, anche una cosa può essere «nu’ babà», magari un oggetto partico-
larmente bello come un’auto sempre funzionante, una macchina fotografica,
persino la vista di qualcosa di particolarmente bello.
Insomma, l’avete capito, babà ha un significato estremamente positivo per
i napoletani che lo apprezzano in quanto capace di riflettere alcuni dei loro
pregi migliori grazie ai quali sono passati direttamente dal precapitalismo
alla società postindustriale senza incontrare la necessità della disciplina di
fabbrica: parliamo dell’equilibrio dei sapori con cui si esprime questo dolce,
la sua praticità e, al tempo stesso, l’estrema pazienza richiesta da ben tre
lievitazioni nella ricetta classica. Già, perché i napoletani sono veloci ma di-
sprezzano e non accontentano mai volentieri chi mostra segni di impazienza
mentre irridono chi è troppo lento, nel capire la situazione più che nel fare.
E come tutti i popoli commerciali, privilegiano sempre e comunque una
soluzione equilibrata quando scoppia un conflitto tra le persone, un com-
promesso capace di chiudere una partita aperta e pensare alla prossima. Eb-
bene, conoscete nel vostro universo tattile qualcosa di più equilibrato della
consistenza assunta dal babà ben lievitato e cotto? Già, e la praticità di cui
ho detto all’inizio? Non come si fa, certo, quanto come si mangia: in piedi,
rapidamente, usando il cappello per iniziare dal tronco, uno, due, tre morsi
e voilà, nessuno potrà togliercelo. Il babà, infatti, si iscrive a pieno titolo nei
dolci di città perché è necessaria sapienza consolidata per prepararlo, dun-
que forni pubblici più che casalinghi, una profonda conoscenza dei tempi di
lievitazione rapportati alla temperatura esterna e all’umidità presente nell’a-
ria, proprio come la pizza. È dolce da città perché da passeggio: si entra,
si prende e si mangia continuando la camminata, non ha necessariamente
bisogno di un piattino e della forchetta, si usano le mani e dunque, a dispetto
delle sue origini regali, come vedremo da qui a poco, è molto democratico,
perché mette sullo stesso piano chi ozia e chi lavora, ricchi e poveri.
Ecco come, cari amici, siamo passati inavvertitamente dal suono alla sua