Page 66 - La cucina del riso
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Piemonte
NEL TRIANGOLO D’ORO DELLA RISICOLTURA
La coltura del riso si intreccia profondamente con la storia e lo svilup-
po del Piemonte connotandone fortune e calamità. Ha modificato l’orga-
nizzazione del territorio, gli insediamenti umani; ha influenzato la cultura,
la struttura sociale, gli stili di vita, la gastronomia e le abitudini alimentari.
Senza il riso non esisterebbe il tipico paesaggio del Vercellese e del Novare-
se: il cosiddetto “mare a quadretti”. La tutela e il sostegno di questa coltura
rivestono quindi un’importanza non solo economica, ma anche sociale, cul-
turale e paesaggistica.
Il riso è alimento distintivo dell’intero Piemonte, anche se la sua col-
tura interessa una zona ben definita del territorio: la piana che si estende
da Cuneo al Ticino, si apre oltre la Dora Baltea e si allarga verso Vercelli
e Novara, su un’area di circa 1200 km quadrati che comprende circa 50
comuni, proseguendo poi anche nella Lomellina lombarda. L’omogeneità
di questo territorio è il risultato di un lungo lavoro dell’uomo che ha saputo
sfruttare le caratteristiche e le specificità dell’ambiente.
Il riso era già conosciuto in Piemonte nel Medioevo, anche se allora
era ancora considerato una spezia e come tale venduta con lo zucchero,
il pepe e altre “droghe estere”. Un documento del 1253, ora nell’archivio
arcivescovile di Vercelli, attesta che agli infermi dell’Ospedale S. Andrea
veniva somministrato riso e mandorle. Nello stesso periodo, nel registro
delle spese dei Savoia, il riso era elencato tra i prodotti acquistati e utilizzati
per preparare i dolci.
La coltivazione del riso fu introdotta molto probabilmente tra la fine
del Quattrocento e l’inizio del Cinquecento. Per coltivarlo, è necessaria
una complessa organizzazione territoriale, con grande disponibilità di terre
e di risorse idriche. Una prima sperimentazione fu sicuramente quella dei
monaci Cistercensi, arrivati nel XII secolo dalla Borgogna, chiamati dai
Marchesi di Aleramo a reggere l’abbazia di Lucedio (Trino, VC). Furono
loro a disboscare e bonificare la vasta zona circostante, dove la natura del
terreno magro e poco fertile ben si adattava alla coltura del riso, creando
così le prime “grange” (dal latino volgare granica, granaio), vaste tenute
che il monastero gestiva con sistemi all’avanguardia. Le grange erano sei,
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