Page 304 - La cucina del riso
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Campania




                 solito Cavalcanti a “Pagnottine di riso” e descritti, questa volta in un italia-
                 no perfettamente comprensibile.
                     Per chi volesse cimentarsi con questa storica ghiottoneria, si ricorda
                 che  la  libbra  napoletana  equivale  a  321  grammi  attuali  e  l’oncia  a  26,7
                 grammi. E “no terzo de ‘nzogna” vuole indicare un terzo d’oncia di strutto.




                 IL SARTÙ NAPOLETANO


                     Concludiamo con quello che viene considerato uno tra i dodici capola-
                 vori della cucina napoletana: il sartù.
                     Il termine è felicemente preso a prestito dal francese “sur tout”, e, per
                 traslato, rappresenta il pezzo che sulla tavola conferisce importanza e decoro
                 al servizio e sul quale spesso veniva appoggiato il piatto principale: un ela-
                 borato pasticcio, un monumentale timballo di maccheroni, o per l’appunto, un
                 sartù. Va altresì ricordato che all’epoca si usava il sevizio alla francese, ossia
                 le vivande andavano disposte tutte insieme sulla tavola, prima che i com-
                 mensali prendessero posto. Si poteva preparare non solo di riso, ma anche
                 di tagliolini, di ortaggi, di pan grattato, di ricotta, di pagnotta grattugiata e
                 di maccheroncini fini. Era la sua preparazione, la sua forma tronco-conica
                 e le sue commestibili decorazioni a conferire prestigio all’imbandigione.
                 Il primo che mise per iscritto come prepararne uno di riso, come creare
                 un contenitore da farcire poi in diverse maniere, fu Vincenzo Corrado che
                 nel 1778, nel suo Cuoco Galante, capitolo II “Delli Sortù”, così prescrive:
                 “Cotto il riso con latte e butirro, freddato si legherà con parmegiano gratta-
                 to, gialli d’uova e qualche chiara, e se ne formerà una pasta, quale tirata in
                 forma di cassa in una cassarola unta di strutto e polverata di pan grattato,
                 dentro vi si metterà un ragù d’animelle, condito di tartufi, prugnoli ed erbe
                 aromatiche; si coprirà con la sudetta pasta di riso, e si farà cuocere al forno.
                 Cotto, si servirà caldo”.
                     Su questa scia si porranno tutti gli altri autori napoletani di cucina, i
                 monzù, i cuochi e le massaie, e ognuno di loro apporterà qualche piccola
                 variazione, qualche miglioria che hanno reso e che rendono il sartù di riso
                 uno dei piatti preferiti per feste, banchetti e ricorrenze.



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