Page 283 - La cucina del riso
P. 283

Molise




               essenziale bene di autoconsumo e altri cereali minori, come l’orzo, il farro
               e l’avena che integravano, per animali e uomini, la dotazione alimentare di
               base. Il riso prodotto in loco, dal punto di vista alimentare, restava confinato
               alle ristrette aree di coltivazione e poi, come si è visto, esportato nelle aree
               contermini. Compariva sporadicamente in qualche situazione di emergenza
               e con motivazioni caritatevoli, come ricorda Renata De Benedittis nel suo
               commento alla Statistica del Murat, in occasione di una grave carestia ai
               primi dell’Ottocento.



                                   Antidoto AllA cArestiA

                   il parroco di qui (Petrella tifernina, ndc), per non vedere perire le persone
                   dalla fame, dal mese di gennaro fino al ricolto, faceva apparecchiare in casa
                   propria ogni giorno un caldaio di riso condito di olio e sale e lo faceva quindi
                   distribuire a 140 persone.
                   Gli Archivi per la storia dell’alimentazione, Atti del convegno Potenza-Matera,
                   5-8 settembre 1988.



                    Il riso, insomma, per una popolazione come quella molisana dedita in
               larga misura all’autoconsumo, seguiva il destino di tutti i beni di acquisto,
               concessi per l’alimentazione ordinaria solo a chi aveva un reddito adeguato
               a permetterseli e una cultura del cibo più ricca e differenziata rispetto ai
               modelli correnti. Con l’eccezione, come si dirà, dei momenti di precaria
               salute, soprattutto di natura gastro-enterica, nei quali era abitualmente usato
               come medicamento e sollievo, e di alcuni passaggi simbolici, nei quali era
               diffusamente adottato in alcuni piatti di forte tradizione.
                    Perché si possa parlare di un suo inserimento nella dieta dei ceti piccolo-
               borghesi e artigianali, sia pure con cadenze periodiche e discontinue, si dovrà
               attendere il raggiungimento di condizioni di vita capaci di consentire l’acqui-
               sto in negozio almeno di una parte della dotazione alimentare della famiglia.
               Con il miglioramento sociale si coniuga l’evoluzione della cultura gastrono-
               mica, sospinta dalle assidue frequentazioni di alcune grandi città, soprattutto
               Napoli, dalla formazione collegiale delle figlie dei possidenti e dalle letture dei
               pochi periodici che riuscivano a penetrare nel discosto ambiente provinciale.



             282                                                   Accademia Italiana della Cucina
   278   279   280   281   282   283   284   285   286   287   288