Page 259 - La cucina del riso
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Abruzzo




               Il paesaggIo effImero dI antIche cartografIe


                    “Il cartografo si comporta, con i prodotti della storia umana, un po’
               come l’impagliatore di uccelli. Egli fissa sulla carta ciò che gli uomini nel
               tempo hanno a loro volta iscritto sul suolo in maniera più o meno duratura
               ed in qualche modo è capace di imbalsamare, su quella stessa carta, la realtà
               geografica, facendone un’appendice della natura, riconducendola a quadri
               ambientali ancora più duraturi ed immobili”.
                    Il cartografo, a voler chiosare maggiormente sul concetto, deve essere
               abile e corretto poiché a lui compete il fondamentale compito di tramandare
               l’immagine dei luoghi e che solo così, quei luoghi stessi, possono soprav-
               vivere nel tempo. Non si deve, poi, falsamente supporre che gli ambienti, e
               per essi i territori, siano durevoli nel tempo. Così, ragionando per categorie,
               si può comprendere la minaccia, o il rischio, insito nel concetto di paesag-
               gio effimero. In questo caso, la minaccia è quella di perdere definitivamente
               la memoria delle cose o cancellare, irreversibilmente, i contenuti di un testo
               antico.
                    Questa premessa è per far comprendere come nell’immaginario collet-
               tivo, se si parla di riso e di risaie, il pensiero inevitabilmente raffigura gli
               ampi terrazzamenti coltivati dell’Estremo Oriente oppure, per essere topo-
               graficamente più vicini, le ordinate geometriche coltivazioni, un po’ piatte a
               dire il vero, delle risaie settentrionali.
                    Eppure, qualche curiosità la deve pur suscitare un singolare toponimo,
               nei pressi di Atri, dove una via campestre conserva ancora il nome di “Via
               delle Risaie”. Inoltre, ed ecco che l’interesse invita ad un’attenta analisi di
               vecchi documenti custoditi negli Archivi di Stato di Teramo e Chieti, da
               polverosi faldoni, definiti “buste” nel gergo, emergono antiche cartografie,
               uniche nella scrittura, negli inchiostri e nei colori, a testimoniare che nel
               passato, neppure troppo lontano, buona parte dell’Abruzzo costiero e pede-
               montano era disseminato di regolari e geometriche porzioni di territorio
               ove questo storico, non certo arcaico, cereale era intensamente coltivato.
               Desiderando cercare una traccia, seppure labile, di tutto questo, con l’au-
               silio di tali cartografie, l’indagine e il pellegrinare, tra estrusioni urbane,
               vigneti, frutteti e altro, non darebbero nessun conforto se non la certezza che



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