Page 241 - La cucina del riso
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Lazio
Anche nel resto del territorio laziale, le antiche memorie del Lazio
costiero confermano i flussi di espansione dell’utilizzazione del riso nella
cucina. Il padre domenicano francese Jean-Baptiste Labat (Parigi 1663-
1738), matematico e ingegnere, che visse a Civitavecchia dal 1710 al 1716,
periodo nel quale esercitò le funzioni di vicario del Santo Uffizio e diresse
i lavori di rifacimento della locale chiesa matrice di Santa Maria, nel suo
Voyage en Espagne et en Italie - nel descrivere il periodo di permanenza
nella città - si dilunga sull’argomento. Documenta l’influenza avuta dai pri-
gionieri turchi e arabi nella conoscenza della cucina del riso nel retroterra dei
porti, dove esisteva una forte concentrazione di prigionieri addetti al remo
sulle galere: “Quelli che conoscono il riso convengono che è il migliore di
tutti i nutrimenti, di facile digestione benché pieno di succo, che è amico
dell’intestino e molto corroborante. È un peccato che non se ne introduca
maggiormente l’uso in Francia, dove ci sono tanti luoghi acquitrinosi non
utilizzati, che sarebbero molto adatti a coltivare questo cereale... In Francia
il riso lo si fa così male, da sembrare una poltiglia di farina piuttosto che
riso. È sorprendente che gente, che si picca d’insegnare la cucina a tutto
il genere umano, non abbia fino ad oggi imparato a farlo cuocere in una
maniera un po’ sopportabile. È vero che il riso non è molto in uso da noi e
che lo è infinitamente di più nel Levante, cioè in tutta l’Asia e presso tutti i
popoli dei dintorni che si sono stabiliti in Africa e nella parte d’Europa che
dipende dall’Impero dei Turchi. È la base del loro principale nutrimento:
ci fanno il loro pilaf, che per loro prende il posto di quasi tutte le cose... [A
Civitavecchia] quando i Turchi facevano la loro Pasqua, che essi chiamano
Bairam, non mancavano di farmi avere un piatto abbondante di pilaf, la
loro pietanza consueta in patria… Il pilaf è una zuppa di riso in cui non si
vede traccia di brodo, anche se è fatta di questo, ma il riso lo ha interamente
consumato, se ne è nutrito, se ne è gonfiato, in maniera che, conservando
la forma, cambia soltanto di volume, che risulta molto aumentato, e benché
sia molto tenero, conserva abbastanza sostanza da farsi sentire sotto i denti
molto più di quello che si mangia in Francia, che non è altro che una polti-
glia, e non lo si riconosce più che per quel poco di sapore che avanza”.
Certo è che gli abitanti dei territori laziali hanno saputo ben presto
integrare la cucina del riso con le loro tradizioni consolidate e dare alla
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