Page 238 - La cucina del riso
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Lazio
CUCINA REGIONALE TRA MEDIOEVO E BAROCCO
“Mangia il tuo riso, al resto ci penserà il cielo”. Con queste parole ele-
ganti e raffinate, i Cinesi antichi esaltavano la produzione di riso, che avevano
conosciuto e coltivato fin dal II millennio a.C. Secondo antiche leggende, lo
chiamavano poeticamente perla d’Oriente. Ogni civiltà, lungo il suo percorso
vitale, ha saputo scoprire, coltivare e arricchire la propria alimentazione con
ogni prodotto che veniva dalla terra e, in modo fondamentale, con tutta la
gamma dei cereali, tra i quali anche il riso, che ogni popolo ha chiamato in
modo diverso. Roma, città cosmopolita fin dai tempi antichi, interessata alle
novità, ha saputo accogliere questi chicchi ricchi di virtù e farne uso.
Oggi si tende a considerare il supplì come l’unica pietanza veramente
romana a base di riso, ma nei ricettari di cucina del passato, che parlano di
Roma, ci sono state altre gustose pietanze a base di riso che hanno fatto, e
continuano a fare, da corona al mitico supplì. Nella città, il riso viene unito a
sughi saporiti, in brodo con carni, con regaglie, con verdure, legumi e con il
pesce; la conferma della varietà del suo impiego si può constatare seguendo
il filo della sua storia nella città eterna fino ai giorni nostri.
Nel Medioevo, il riso era usato in cucina, soprattutto, trasformato in
farina come addensante. Fu dal Quattrocento in poi che questo cereale
cominciò a riscuotere, a Roma, un significativo successo, come pietanza
delicata e ottima da inserire nei fastosi banchetti di corte che i grandi cuochi
dell’epoca offrivano ai commensali fra le varie minestre raffinate. Il Platina,
che visse a lungo a Roma come direttore della Biblioteca Vaticana, nel suo
libro De honesta voluptate et valetudine, dove sono raccolte quasi tutte le
ricette di Maestro Martino, esalta in modo particolare quelle a base di riso,
affermando che “è molto nutriente e più ancora lo è se viene condito con
mandorle pestate, con latte e zucchero”. La “Minestra di riso con mandorle”
era certamente una pietanza molto in voga perché la ritroviamo anche nel
Cinquecento, trattata dallo Scappi nella sua Opera, fra le varie minestre,
unitamente a quella particolare come “A fare farina di riso per minestre
dense”. Anche il Romoli, scalco e cuoco di papi e cardinali a Roma, nel suo
testo La Singolar dottrina, la inserisce nei numerosi banchetti insieme ad
una raffinata “Torta di riso con cannella caramellata sopra”.
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